Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/244

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bastevole a tanto peso; percioché, messer Lattanzio mio caro, io era venuto qui tutto lontano da avere oggi a risolver dubbi, e massimamente di questa maniera. Vi prometto bene che uno altro giorno mi sforzerò di sodisfare, se non a’ comandamenti vostri, al mio debito.

Benucci. Noi non volemo altro da voi se non che ci dichiate quello ne credete, senza altre o ragioni o auttoritá. Fateci questo piacere nella cittá vostra, ché noi in Siena e altrove ve ne faremmo di troppo maggiori che questo non è, solo che potessimo.

Varchi. Questo non è niente a quello vorrei far in servizio e contentezza vostra. Quanto al primo dubbio: io, per me, tengo che l’uno e l’altro avesse ragione.

Benucci. Guardate, messer Benedetto, a non far come quel podestá di Padova...

Varchi. Dico che chi dice che tutti gli amori abbiano principio, mezzo e fine dallo interesse particolar proprio, dice bene e dice vero; percioché tutti cominciano da se stessi e finiscono in se medesimo, conciosiacosaché tutte le cose amano prima e principalmente se stesse, e poi, per amor di se stesse, fanno e dicono tutto quello che dicono e fanno. E questo, appresso me, non ha dubbio.

Benucci. Adunque aveva il torto chi diceva che si trovavano degli amanti che non erano per cagion di sé, cioè dello amante, ma dello amato.

Varchi. Non dico questo. Ché, se parliamo degli amori umani, dalla luna in giú, è verissimo che ciascuno ama principalmente tutto quello che egli ama per lo amore che porta a se stesso, percioché niuno disidera se non quello che egli non ha e vorrebbe avere. Ma, dalla luna in su, l’amor delle intelligenze, e massimamente del primo Motore, sta a punto a rovescio del nostro: perché Dio ama non per acquistar cosa niuna, avendole tutte perfettissimamente ed in modo immaginabile, non che intelligibile da noi; ma ama solo e volge il cielo per la infinita bontá e perfezzion sua, la qual disidera impartire alle altre cose tutte quante, secondo però la natura di ciascuna,