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II

Allo illustrissimo signor COSIMO DE’ MEDICI duca di Firenze

SIGNORE SUO OSSERVANDISSIMO

TULLIA D’ARAGONA

lo sono stato lungamente suspesa, nobilissimo e cortesissimo signore, se io doveva indrizzare a Vostra Eccellenzia illustrissima un ragionamento fatto, sono giá piú mesi, dentro delle mie case, sopra la infinitá ed alcuni altri dubbi di Amore, non men begli, se il giudicio mio non m’inganna, che difficili. Dall’uno de’lati mi spaventava cosí l’altezza dello stato suo come la bassezza della condicion mia, dubitando ancora di non interrompere quella dalle molte ed importantissime facende, che le soprastanno ogni giorno, si nel procurar la pace e quiete del fortunatissimo imperio suo, e si in amministrando ragione e giustizia a’ suoi popoli beatissimi. Dall’altro lato mi assecurava e quasi spingeva non tanto il sapere io quella sommamente dilettarsi di tutte le maniere de’ componimenti, e massimamente di quegli che, scritti nella lingua sua, tanto da lei favorita e inalzata, trattano di cose utili o dilettevoli; quanto un disiderio, che è in me ardentissimo, di mostrare a Vostra Eccellenzia almeno un picciol segno cosí della affezzione e servitú che io ho sempre avuta verso la illustrissima e felicissima casa sua, come degli oblighi che io tengo con quella particolarmente per li benefíci ricevuti da lei. Onde, confidatami finalmente che Vostra Eccellenzia, per la infinita bontá e cortesia sua, debbia piú tosto riguardare la grandezza dell’animo in queste mie cosí basse e roze fatiche che la picciolezza del dono, ho eletto di correre rischio di essere anzi tenuta molto presontuosa da tutti gli altri, che poco grata da lei sola. Alla quale, innilissimamente baciando le illustrissime mani, prego Dio che la conservi sana e felice.