Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/355

Da Wikisource.

APPENDICE

Allo illustrissimo signore il signor Giovan Federigo Madruccio GIUSEPPE BETUSSI.

Ingratissimo sarei, s’io non riconoscessi la molta benignitá e l’infinita amorevolezza con cui, questo passato marzo, alla Certosa di Pavia mi accoglieste ed abbracciaste; e piú che poco aveduto, s’io non facessi stima dell’acquisto che mostraste nello avermi conosciuto ed appagato sopra ciò il desiderio vostro di molti anni. Le quali cose comprendendo tutte lontane dal merito mio, e tutte proprie del nobilissimo e cortesissimo animo vostro, da indi in poi ho sempre desiderato farmi conoscere per affezzionatissimo e riconoscente servitore di Vostra Signoria illustrissima. Né veggendo in altro modo potermi essere concesso adempire questo desiderio che con alcuna fatica dei debile ingegno mio, ho voluto che la prima (posposti tutti gli altri padroni) sia quella che ne renda testimonio. Cosi le appresento e le faccio dono d’alcune poche reliquie, ch’io ho saputo mettere insieme, d’un breve ragionamento sopra la vera bellezza, il quale non sará giá simile al ricco Convito d’amore di Platone, ma un picciolo saggio di non comuni vivande (dopo cinque anni che furono gustate e ch’io ne feci conserva), da me a lei ora, come cosa piú cara ch’io possegga, inviate, non tenendo questo dono in tutto improprio di lei. Percioché, trattando egli di cosí alta e misteriosa materia, non so a qual altra persona, per le bellezze dell’animo, per le virtú, per gli costumi, per lo valore e per la cortesia, piú propriamente si convenisse; le quali qualitá, essendo natie del sangue Madruccio e tutte riposte in