Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/103

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Nifo e Socrate.

Nifo.Che cibo a’ servi dá?
Socrate. Dolce veneno.
Nifo.Il studio suo qual è?
Socrate. Pompa mondana.


Poiché ebbe inteso il mio maestro la vera arte della sua donna essere studio d’inganno e di fraude, dimanda quelli, che serveno spezialmente alla donna ingrata, di che cibi son pasciuti, percioché oggi non si vive di vento o di aura soave. Ed io veggio che i servi dal suo patrone voleno essere ben trattati, percioché il servo non guarda alla caristia. Imperò tal sia de chi non ha. Sappi che il servo vuol trionfare, pascendo il corpo non solo di pane, vino, carne e pesce, ma alcuna volta vuol la salsa; percioché non ha l’appetito quando ha pieno il corpo, nè piú gli piace arosto o carne a lesso, non savori o guacetti, nè soffritti o torte di piú sorte, nè gli gustano insalate cotte o crude, di lasagne non fa stima, al biancomangiare non guarda, di pizze sfogliate non si cura, e dice che gialatina fa il mal bevere; non fa caso di alcuno frutto romanesco, nè si contenta di ciò che produceno li bellissimi giardini del regno di Napoli, nè gli piace tunina di Spagna, non butarghe di Levante nè lacce tiberine, nè di fico, grata a Platone, si consola, nè d’altri frutti, giá gratissimi a Filippo ed Alessandro, si nutrisce o pasce. Perciò voleva sapere il mio maestro, in luoco di ésca umana, che cibo dá la donna alli suoi servi. Sí che a tal chiesta Socrate, come uomo saputo, brevemente risponde, dicendo: — La donna pasce i suoi servi d’un dolce veneno. — Come fanno molte a questi tempi, le quali al presente tacerò, per non dargli infamia. Ma ricordaròvi il fatto di Fabia, moglie di Fabio affricano, qual, per pascere il suo bellissimo amante,