Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/119

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angoscia 113


e confusion infinite, quali impieno tutto quel vacuo. Ivi crescono le parole, ivi sempre gionge di nuovo l’autore, ivi sta la credulitá, ivi vana allegrezza, timore eterno e fresca sedizione. Di sorte che la infamia vede quel che si fa in cielo ed in terra, e va circondando tutto il mondo, perciò non truovo cosa che sia piú inorme di essa infamia, nè frutto che manco satisfaccia alla natura umana.

Dopo il frutto di infamia, sèguita il frutto chiamato «morte». Il che è noto a voi, amanti, senza che io vi dichiari altrimente che frutto sia: nondimeno, per satisfare a quelli che non sanno che cosa è la morte, stando in servigio di alcuna donna nè acquistando altro che morte, diranno che questo frutto è passaggio di vita presente all’altra vita; ed è separazion dell’anima dal corpo la morte. E dicesi morte dalla vita finita, cioè dal vivere che è terminato, ridutto al fine piú quieto. Né perciò si deve credere che la morte sia dea nè figlia di Notte, nè di alcuno altro, perché ciò gli è la fiabba antica; nondimeno, se pure mi volete credere, pensava che questo frutto «morte» fosse rose e fiori, overo diverse poma, overo quel liquore che esce dell’uva. Ma, ingannandomi chiaramente, son constretto de dire che la morte è quella, che si dipinge, nuda imagine umana, senza carne, senza pelle e senza interiori, fatta d’osso solamente, con gran falce in le mani, nera piú di scurissima tenebre; con tutto ciò la morte è chiamata «spirito vivace» piú d’ogni altro animale. Oh morte, frutto acerbo, frutto venenoso! Pertanto che giova all’uomo di gloriarsi di sue ricchezze e di suoi onori? A che avantarsi di nobiltá antica di suoi progenitori? A che insuperbirsi per patria generosa? A che essere superbo per la beltá del corpo e ricchi ornamenti? Poi, guardandovi a cerca, vi truovate mortali, e per andare in mezzo la terra. Ma, se pure non credete a me, ricordatevi di quelli che godevano simili frutti, anzi piú gloriosi trionfi; e pure son morti. O morte, piú amara di assenzo e fele, dimmi: dove son quelli che disponevano sempre in meglio la sua repubblica? dove tanti cavalieri e baroni? dove son le loro veste superbe e perigrini ornamenti? dove è la copia de’ servi? dove le loro feste e giostre? dove