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208 ii - angoscia doglia e pena



Socrate. Son le catene che ligato m’hanno.

Biondo. Mentre che io udiva gli alti ragionamenti di Socrate e Nilo, mi pareva, quando d’angoscia, quando di pietá, morire; nondimeno poi ’l mio maestro mi fe’ cenno che io stessi accorto, accioché di catene non mai piu potesse essere ligato, percioché tutti li sopradetti ragionamenti conteneno le maglie della catena iugale, imperoché ciò ancora conclude il savio vecchio, ragionando col mio maestro. Di sorte che, avendo udito a satisfazione de l’animo tuta la sustanzia della donna e che giamai non potria udire cosa maggiore, perciò, con gli occhi bassi e la barba al petto, dispose il mio maestro di licenziarsi da Socrate, proponendo non mai piú di accostarsi a donna alcuna. Perciò, disparendo dagli occhi miei, mi levai dal marmo, sopra il quale me ero posto a iacere per strachezza delli domestici affanni, e, setandomi e caciando via il sonno dagli occhi con le detta, me ricordai di tuto il ragionamento delli dua filosofi; i quali conoscendo che avean detto il vero, ho voluto esporvi quanto intesi, per vostra dottrina. Ma, perché il fine loda il tutto, perciò, concludendo il nostro ragionamento, ancora dicovi che la loro conclusione mi fu molto noiosa. Perché il savio vecchio, doppo tanti ragionamenti, conclude che ciò che vi si fa o ragiona di la donna, con la imaginazione ancora, son le catene, con quali resta ligato l’uomo dalla donna; imperò sí il dir male come dir bene, o lodarli overo biasemarli, anzi sí il fuggire alle volte come il abracciarli, son le maglie, anzi catene grossissime, con le quali la donna lega l’uomo. Perciò, o voi, amanti o maritati, o voi ancora che fuggite dalla donna, sappiate che al fin fine restate suo pregione; e ciò, non per vostra cagione nè per il suo diffetto, ma per l’ordine che vien di sopra. Pertanto, accioché meno vi abbia dolere il perdere di vostra libertá e di star impregionato, o vòi dire legato, di sua catene, vi voglio dichiarar finalmente tal catene che cosa