Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/355

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del peso della moglie 349

gli altri in disparte; a voi, che gentilissimi spiriti sète e dal volgo in tutto lontani, rivolgerò il mio stile. Volendo dunque disputare che la vergogna della donna non può l’onor dell’uomo oscurare, poco del nome delle corna curandoci, ma, venendo a la cosa istessa, fie necessario dir prima che cosa è onore e vergogna, e dove, come in suo proprio soggetto, l’un e l’altro si stia. Ritrovo dunque, (se la memoria non m’inganna), che, volendo il divino Platone che cosa sia onore dimostrarci, dice che non è altro che seguir le cose migliori, e delle peggiori convertir nel meglio che si può quelle che migliori posson farsi. Quel che si dice dell’onore potrá anco farci conoscere che cosa sia vergogna, essendo la natura di due contrari cosí fatta, che, come se ne conosce l’uno, cosí se ne conosce l’altro. Or, per meglio intendere questa dichiarazione o definizion che chiamar la vogliamo, e’ si vede che Platone fa la volontá nostra causa agente dell’onore; la forma ed il fine, l’onore istesso; la materia poi, o soggetto che vogliam dire, sono le cose che o seguire o fuggire si debbono. Ma, perchè sono due sorti di cose (avendo però sempre rispetto a l’uomo, del cui voler si ragiona), cioè interiori ed esteriori, l’interiori veramente non sono altro che accidenti dell’anima e delle potenzie sue: i quali, se son buoni, si chiaman «virtú»; se son rei, son detti «vizi». E, sí come tutte le virtú si ristringono in quattro principali, cioè prudenzia, giustizia, temperanza e fortezza; cosí parimenti tutti i vizi dell’animo si ristringono in quattro altri, i quali sono ingiustizia, ignoranza, intemperanza e viltá d’animo. L’esteriori, se ben sono altrettante, si divideno però in questo modo: che altre sono beni di fortuna, altre di corpo. I beni della fortuna son quelli che non sono in noi, ma che per via di sorte o l’acquistiamo o le perdiamo, senza tramutazion veruna dell’essere dell’uomo, come è a dir regni, stati, danari ed altre possessioni. I beni del corpo sono tre: il primo è la sanitá, il secondo la bellezza, il terzo la gagliardia; i quali beni, senza gran mutazione o alterazione del corpo nostro, non possono o venire o partirsi da noi. Or, essendo, come abbiam detto, due sorti di cose, cioè interiori ed esteriori, si vede manifestamente