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DISCORSO *SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

nomini chiamasi patria. Se Dante non fu nel campo d’Ar- rigo VII, e n’allegò per motivo la riverenza alla patria, è da dire che il desiderio di ritornarvi gli impedi di conoscere che le difese eccellenti a scolparlo fra’ metafisici, raggravavano le sue colpe agli occhi del popolo, il quale sta sempre a’ fatti, ed al senso comune. Tutti sapevano come il Poeta - « per sé e » per gli altri non meritevolmente sbanditi aveva mandato » baci alla terra dinanzi a’ piedi d’Arrigo VII Imperadore , » scrivendogli: - Vidi te benignissimo, udii te pietosissimo, » quando le mie mani toccarono i tuoi piedi, e le labbra mie » pagarono il lor debito; quando si esultò in me lo spirito » mio. Ma che con si tarda pigrezza dimori , noi ci maravi- » gliamo; quando già molto, tu vincitore, nella valle del Po » dimori non lungi, Toscana abbandoni, lascila, e dimentichila; » - Toscana tirannesca nella fidanza dello indugio si conforta; » e continuamente confortando la superbia de’ maligni, nuove » forze raguna, aggiungendo presunzione a presunzione. » - Poi gli minaccia l’ira di Dio, e lo consiglia - « a guardarsi, » che il celestiale giudicio per quelle parole di Samuello non » si rinasprisca. - Q^^ando tu eri piccolo dinanzi alla faccia « tua, non fosti tu fatto capo nelle Tribù d’Isdrael? E te il » Signore unse in Re, e miseti il Signore in via e disse : va’ » uccidi i peccak)ri d’Amalech. Imperciocché tu se’ sagrato in » Re, acciocché tu percuota il popolo di Amalech, e al popolo » d’Agagi non perdoni : e vendica colui , il quale ti mandò , » della gente bestiale. - Tu cosi vernando, come tardando a » Milano dimori, e pensi spegnere per lo tagliamento de’ capi » la velenosissima Idra? - In verità egli non vale, a di-radi- » care gli alberi, il tagliamento de’ rami, anzi ancora molti- » plicando, essendo verdi, rifanno rami, infino a tanto che le » radici sono sane, acciocch’ elle dieno ahmento. - E forse tu » noi sai, Firenze? Questa, crudel morte è chiamata: questa » è la vipera volta nel ventre della madre: questa ’è la pecora » inferma, la quale col suo appressamento contamina le gregge » del suo Signore ; questa è Mirra scellerata ed empia, la quale » s’ infiamma nel fuoco degli abbracciamenti del padre *. » CIX. Firenze « bellissima, » nel Convito^ « famosissima figha » di Roma ’\ » qui morde da vipera le viscere della madre ; e il padre incestuoso era il Papa. La lunga residenza di Federico II in Italia aveva fatto sperare che gli altri Imperadori lo imite- rebbero ; tant’ era sciaguratissima terra sin da que’ tempi che s’ aspettava salute da’ forestieri. Se non che l’ Impero non era ereditario; e mentre le razze diverse avevano interessi diversi, lutiti si chiamavano Cesari e Re di Roma ; e ninno d’essi era


1 Lellera ad Arrig» VII, dalla traduzione antica nell’ediz. del ZaKa, voi. V, pag{^ 280. segg.

2 0ui dietro, sez. XGVIII.


DISCORSO