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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 299

ficj gli altari, sperando di venerare nella Deità la loro propria scempiezza. Questo è il sonetto : —

DANTE A MESSER 80S0NE RAFFAELLI D’AGCBBIO

Tu che stanzi lo colle ombroso e fresco Ch’é co lo nmii^’, che non è torrente: Linci molift lo chiama quella gente, In noniH it.iUano, e non Tedesco :

Ponli sera e m ittm «ont’-nlo al desco Poi che del car figliaol vedi presento El fruito che sp rf.sti, e sì repente S’i.v\raccici nello stil t:reco e francesco.

Percaò cima d’ ingegno non s’astalla In quella Italia di dolor o*;tello. Di cui si speri già <ot nlo frutto;

G tV zzi |>ur p| primo RafT elio: Che tra dotti vedr..llu esser redutto, Come sovr’acqua si sostien la galla ’.

Or a provare che Dante era grecista e pedagogo del figliuolo di messer Bosone di Gubbio, e scrittore de’ versi ribaldi, que- sta è la chiosa: — « Più d’ ogni altro argomento ci sembra » aver forza quello che il benemerito canonico Dionisi ricava » dal sonetto di Dante, in cui afferma che il .figlio Bosone so- » vrasterà agli altri dotti per la cognizione della lingua greca, » tanto conducente a profittar nelle\cienze. K certamente se il » poeta ne fosse stato ignaro, cotale elogio sarebbe stato un » obbrobrio per lui, confessando di non possedere quella lin- » gua, senza la quale ei non poteva pareggiar, non che sovra- » stare agli uomini dotti. Il canonico Dionisi afferma aver » tratto il sonetto da vecchia pergamena legata in libro E » neir archivio Armanni di Gubbio, e che differisce in qualche » cosa dall’ esemplare riportato dal Pelli *. »


1 Editori Padovani, voi, V pag. 111.

2 Appendici all’edizione Romana della C<fmmedia; note del DeRomanisal Ti rabeschi G). — Ma l’argome io del Dionisi .» che giov , se per Dante « que’ tempi non era vergogna il non sapere d greco? E hi altri mai ne sapeva? Al sommo Tommaso d’Aqu no toccava studiare le opere del suo maestro Ar- stoiile in lai no. « Fu gnin danno eh’- i non avesse maestri degni di lui, e che » in gr.izi » d’Aristotile, cui non legaei che tradotto, ubbia negletto lo studio ¦ della lingua greca, l’arte de la critica, e la soda bellezza de’ grandi scrittori » d’Atene e di Roma. Questo losofo gli dee quasi tutta la gloria a cui tra » Lati i è sjdilo. » Yvon, Discours sur VHistoire de l’Église, voi. Ili, pag. J30. — - Volendo ridurre a unità i<i Chi’Si di Costantinopoli e la Roman. , scrisse un rapii» trattato, come altr’ molti teologi dell’età sua; pur nessun d’essi po- tendo asserire quali fossero le sente ize e le parole originali de* Padri della Chiesa greca, su* qu li t Costan’inopolilmi prineiiialme te appoggiavansi. D’an Bonaccorso bolognese, domenic no , in < uel secolo, si cita un’opera su lo stesso soggi’tto de’ l’ unione delle Chiese sciitt in latino ed in i.reco; poi tro- vatasi in u convento Domenic no in Negroponle, e mandala a papa Gio- vanni XXII. Vedi gli storici «iella letteratura Domenicana che ne parlano lun- gamente (Quetif el Echard, Scriptorei Ordinis Praedic., voi. I, pagg. ise, segg.).


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