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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 315

individuali degli attori che stavano quasi davanti agli occhi al- l’artefice, — la meraviglia aggiunta alla meraviglia, il terrore al terrore, e la pietà alla pietà, perocché i narratori sono ombre di morti, e parlano nel mondo ove vivono eternamente infelici, — le finzioni inrestate nella storia, che mentre irritano la nostra cu- riosità , hanno forza di vero, perchè sono circostanze ignoto de’ fatti , rivelate dalle anime che sale ne sapevano tutti i secreti, e li traevano dalla notte de’ loro sepolcri," onde Ugo- lino -^

V-^TÒ quel che non puoi avere irUeso, Cioè, come la morte mia fu cruda, Udirai. —

E Dante interroga Francesca :

Ma dimmi: al tempo de’dolM’ s spiri, A che, e come con •edetle amore Che conosceste i dubbiosi desiri ?

CLVI. Pur queste tutte sono cause minori verso dell’ unica potentissima; ed è: — che in tanta moltitudine d’episodj , e di scene d’infinita diversità nella lunga azione della Divina Commedia , il primo , unico , vero protagonista è il Poeta. Le forti e istantanee, né men permanenti illusioni che regnano ¦neWIltade, sono procaccia’ e per forza d’arte al tutto contraria. Omero, non che inframmettersi pur una volta fra gli spettatori e gli attori, dileguasi come se volesse far apparire il Poema caduto dal cielo ; e ove mai ne fa cenno, diresti che intenda di rammentare che non é opera d’uomo. Contrasta, parmi, alla mente e al tenore di tutta V Iliade, chi traduce — Cantami, o Diva, — nel primo verso. Mostra a dito l’autore, appunto quand’ei più brama nascondersi; fa eh’ ei s’ arroghi il merito di ridire cose non risapute dall’ alto , se non di lui ; quando invece il — Canta, o Dea, — « nell’originale la invoca a farsi udire da tutto il genere umano. Quel mi, o che m’inganno, ristricge la circonferenza del mondo, e riduce all’ orecchio di un solo mortale il canto divino che nel verso greco par che diffondasi a un tratto per l’universo. La versione d’Orazio — De MiHi Musa virum, — risponde letteralmente al principio dell’ Odissea ; e perciò appunto non é da prestarla all’ Iliade. Senza ritoccare la questione (e ne discorro altrove, e la tengo oggimai definita) se i due poemi sgorgavano da un solo in- gegno nella medesima età ’, chi non vede che sono dissimili in tutto fra loro, e che tendevano a m^re diverse? Perciò nel- r Iliade la realtà sta sempre immedesimata alla grandezza ideale, sì che l’una può raramente scevrarsi dall’ altra , né sai


1 P.iyne Knijilit, Can»ti*« Ilomerica Pndegomena, secf. LVIII; e il volumollo, A Hislonj of the text < f the Ilia