Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/335

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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 333

Papa, ra^segnavasi al nome di cane senz’anima ’), si guarda- vano a tutto potere dall’inframmettersi nelle liti fra la Chiesa e i tiranni che governavano i paesi oltre il Po; — e questo, parmi , assegna ragioni della loro ripulsa all’ oratore del Si- gnor di Ravenna; tanto più quanto i principi quasi tutti in Komagna allora erano minacciati dalle maledizioni del succes- sore di Clemente V, e dalle armi de’ suoi Cardinali.

CLXX. Quindi quella provincia e quegli anni erano meno propizj alla pubblicazione dell’Opera. Verosimilmente l’indugio non derivò solamente, per ciò che Dante appiattò quasi mezza la terza Cantica « nella camera ove era uso di dormire, in » una finestra cieca dietro una stuoja confitta al muro; * » — da che ove pure avesse ciò fatto per cautela, chi crederà ch’ei morisse senza avvisare i suoi figliuoli dei luogo ov’essi avreb- bero ritrovata la copia di tutti que’ canti? o ch’ei si dimen- ticasse « che r umidità della finestra e del muro avrebbero » mufi’ate le scritture tutte, se guari state vi fossero?* » Che Jacopo dormendo sognasse l’ombra del padre .suo « vestita di » candidissimi vestimenti, » non può negarsi né credersi, se non per via d’induzioni; e le ho proposte perchè altri ne giu- dichi *. Se il figliuolo sognò, o disse di avere sognato, poco rileva; da che il desiderio irritato dalla difiicoltà e da’ pericoli di preservare il Poema , può avere occupata l’ immaginazione del giovine a sogni, o aguzzatogli l’ingegno a finzioni efficaci all’intento. Bensì a provare che la Commedia corresse per l’Italia innanzi alla morte dell’ Autore , o che gli eredi non avessero trovato ostacoli a farla pubblica, bisogna di necessità contrad- dire al Boccaccio che nella Vita di Dante affermò d’avere udito il fatto in Ravenna da un intrinseco del padre e de’ figliuoli, e lo nomina; e poscia nel Commento n’esalta spesso la fede, e gli ài chiama obbligato d’altre molte notizie ^ Cecco d’Ascoli, Giovanni Villani, e CmQ da Pistoja, coetanei di Dante, allu- dono a’ versi della Commedia :

In ciò peccasti, o Fiorentin Poeta, Ponendo, che il ben della fortuna Necessitali siano con lor mèta.

Non è fortuna, cui ragion non vinca: Or pensa Dante, se pruova nessuna Si può più fare che questa convinca «.


i Dodi no. De Republìca. — Canis ab ipsis Yenetis appellata est, quod coram Clemente V, Pon’ifice Maximo, laqueum collo inseruisset , deinde pedibus ac ma- nibus quadrupedis in modum gradiens, veniam a Pontiftce Maximo petiisset. — Lib. I, pag. 217, Lione, lo83. — Fos’-arini, Letteratura Veneziana, lib. Ili, p;4- gine 335-33«, e la nota ove confuta il Bodino, pur concedendo che il fatto fu rejristrato dagli scrittori di Croniche.

2 Qui dietro, sez. XXVI

3 Ivi.

4 Sez. XXVIII.

5 Comtnento, spesso, ove allega Pii ro Giardino, ravignano.

6 Cecco d’Ascoli, L’Acerba, lib. I, cap. 1. — E danna la bella teoria che fa


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