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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 373

Dante li serbava; e con essi i significati meno rari nel verbo medesimo di durabilità di tempo, e di costanza e vigore cre- scente d’azione. Indi può intendersi, altrimenti parrebbe enigma, ciò eh’ ei diceva al suo Interprete : « che molte e spesse volte » faceva li vocaboli dire nelle sue Rime altro che quello che » erano appo gli altri dicitori usati di esprimere ’. »

Ma, e chi può mai rimutare di pianta i significati fonda- mentali prescritti dal tempo e dagli uomini alle parole ? Ei bensì costringevale conia sintassi, e accompagnavale in guisa che s’ infondessero in esse moltissimi sensi. Indi il conflato d’ idee concomitanti prorompe simultaneo e potente dalle sue bcuzioni. E questo era di certo

Lo bello stile che gli ha fatto onore.

Pur affaccenda moltissimi a indovinare il perchè egli se ne chiami debitore riconoscente a Virgilio *. Or Virgilio non è egli maestro di stile sì fatto? Visae canes ululare per um- BRAM *, benché le non si vedessero e solo potessero udirsi; ma il terrore delle loro urla fa immaginare le loro gole spalan- cate a divorare; e ne risulta maggiore il cor.iggio d’Enea che traversava la notte infernale. Di modi sì arditi, infiniti nella poesia di Virgilio, Dante s’è fatto un’arte nuova sua tutta. Ove alle volte non fosse impedito dalla sintassi , vincerebbe d’evidenza il maestro, come senz’altro lo passa negli altrime- nti di quella specie di stile. Esso n’ era più fortemente dispo- sto, sì per più alta profondità d’ intelletto, e per fantasia più inventiva; e sì per la singolarità del soggetto, e per l’unione di sillogismi e d’immagini; e tanto più quant’ei maneggiando una Lngua nuova, poteva più che Virgilio,, ridurla sotto ogni 1( Qge a obbedirgli. Se non che insieme,

Multa noiis verbis praesertim quom sit agendum, Propter egestalem linguae, et rerum novilatem,

ei tiranneggia la lingua e i lettori. Spesso anche l’ oscurità deriva dall’ uso delle particelle che mai non hanno significati da sé, e si riferiscono ad altre a fare da nesso e da guida al discorso. La industria de’ grammatici , allorché poi le assog- getta a regole generali e costume perpetuo, non può coglierle in tutti i loro acc’deiiti. Molti rimangono trascurati e fran- tesi, segnatamente nell’uso degli scrittori primitivi : onde spie- gandole per ragione grammaticale, non v’ è più senso ; e prov- vedendo al senso, non v’ è sintassi. Quando i critici eminenti


» nume Danubio) dipartiva già Alnmgna da Francia: ma ora dura infliio a • Laureo. » Tesoro di Brunetto Litini, presso gli Accademici della Crusca, alla vorc, ? IV; e il Cesari, al § I, (*).

1 L’Anonimo, Kdiz. Fiorentina, voi. IV, pag. 58.

2 I-p edizioni Kinrontìna e Padovana, Inferno, 1. 85-87,

3 £neid , Vi. 2Ò7-261.


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