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ultime lettere d’jacopo ortis. 83

me ne accerti, ed io credo; ma guardati che per tentare di risanarmi, tu non congiurassi a contendermi l’unico balsamo alle mie viscere lacerate.

O mie speranze! si dileguano tutte; ed io siedo qui derelitto nella solitudine del mio dolore.

In che devo più confidare? non mi tradire, Lorenzo: io non ti perderò mai dal mio petto, perché la tua memoria è necessaria all’amico tuo: in qualunque tua avversità tu non mi avresti perduto. Sono io dunque destinato a vedermi svanire tutto davanti? — anche l’unico avanzo di tante speranze? Ma sia così! io non mi querelo nè di lei, nè di te — non di me stesso, non della mia fortuna — ben m’avvilisco con tante lagrime, e perdo la consolazione di poter dire: Soffro i miei travagli e non mi lamento.

Voi tutti mi lascerete — tutti: e il mio gemito vi seguirà da per tutto; perché senza di voi non sono uomo: e da ogni luogo vi richiamerò disperato. — Ecco le poche parole scrittemi da Teresa: «Abbiate rispetto alla vostra vita; ve ne scongiuro per le nostre disgrazie. Non siamo noi due soli infelici. Avrete il mio ritratto quando potrò. Mio padre piange con me; e non gli rincresce ch’io risponda al biglietto che mi ha ricapitato da parte vostra; pur con le sue lagrime a me pare che tacitamente mi proibisca di scrivervi d’ora innanzi — ed io piangendo lo prometto; e vi scrivo, forse per l’ultima volta, piangendo — perché io non potrò più confessare d’amarvi, fuorché davanti a Dio solo».

Tu sei dunque più forte di me? Sì; ripeterò queste poche righe come fossero le ultime tue volontà — parlerò teco un’altra volta, o Teresa; ma solamente quel giorno che mi sarò agguerrito di tanta ragione e di tale coraggio da separarmi davvero da te.

Che se ora l’amarti di questo amore insoffribile, immenso, e tacere, e seppellirmi agli occhi di tutti, potesse ridarti pace — se la mia morte potesse espiare al tribunale de’ nostri persecutori la sua passione, e sopirla per sempre dentro il tuo petto; io supplico con tutto l’ardore e la verità dell’anima mia la natura ed il cielo perché mi tolgano finalmente dal mondo. Or ch’io resista al mio fatale e insieme dolcissimo desiderio di morte, te lo prometto; ma ch’io lo vinca, ah! tu sola con le tue preghiere potrai forse impetrarmelo dal mio Creatore — e sento che ad ogni modo ei mi chiama. Ma tu deh! vivi per quanto puoi felice — per quanto puoi ancora. Iddio forse convertirà a tua consolazione, sfortunata giovine, queste lagrime penitenti ch’io mando a lui domandandogli misericordia per te. Pur troppo tu, pur troppo, tu ora partecipi del doloroso mio stato, e per me tu se’ fatta infelice. — E come ho io rimeritato tuo padre delle affettuose sue cure, della sua fiducia, de’ suoi consigli, delle sue carezze? e tu a che precipizio non ti se’ trovata, e non ti trovi per me? — Ma e di che dunque mi ha egli