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DONATO 335

trionfali in fuora. Et egli fu potissima cagione che a Cosimo de’ Medici si destasse la volontà dell’introdurre a Fiorenza le antichità, che sono et erano in casa Medici, le quali tutte di sua mano acconciò. Era liberalissimo, amorevole e cortese, e per gl’amici migliore che per sè medesimo; nè mai stimò danari, tenendo quegli in una sporta con una fune al palco appiccati, onde ogni suo lavorante et amico pigliava il suo bisogno, senza dirgli nulla. Passò la vecchiezza allegrissimamente, e venuto in decrepità, ebbe ad essere soccorso da Cosimo e da altri amici suoi, non potendo più lavorare. Dicesi che venendo Cosimo a morte lo lasciò raccomandato a Piero suo figliuolo, il quale, come diligentissimo esecutore della volontà di suo padre, gli donò un podere in Cafaggiuolo, di tanta rendita che e’ ne poteva vivere comodamente. Di che fece Donato festa grandissima, parendoli essere con questo più che sicuro di non avere a morir di fame. Ma non lo tenne però un anno, che ritornato a Piero, glielo rinunziò per contratto publico, affermando che non voleva perdere la sua quiete per pensare alla cura famigliare et alla molestia del contadino, il quale ogni terzo dì gli era intorno, quando perchè il vento gli aveva scoperta la colombaia, quando perchè gli erano tolte le bestie dal Commune per le gravezze, e quando per la tempesta che gli aveva tolto il vino e le frutte. Delle quali cose era tanto sazio et infastidito, che e’ voleva innanzi morir di fame che avere a pensare a tante cose. Rise Piero della semplicità di Donato, e per liberarlo di questo affanno, accettato il podere, che così volle al tutto Donato, gli assegnò in sul banco suo una provisione della medesima rendita, o più, ma in danari contanti, che ogni settimana gli erano pagati per la rata che gli toccava; del che egli sommamente si contentò. E servitore et amico della casa de’ Medici, visse lieto e senza pensieri tutto il restante della sua vita, ancora che conduttosi ad 83 anni, si trovasse tanto parletico che e’ non potesse più lavorare in maniera alcuna, e si conducesse a starsi nel letto continovamente, in una povera casetta che aveva nella via del Cocomero, vicino alle monache di San Niccolò. Dove peggiorando di giorno in giorno, e consumandosi a poco a poco, si morì il dì 13 di dicembre 1466. E fu sotterrato nella chiesa di San Lorenzo, vicino alla sepoltura di Cosimo, come egli stesso aveva ordinato, a cagione che così gli fusse vicino il corpo già morto, come vivo sempre gli era stato presso con l’animo. Dolse infinitamente la morte sua a’ cittadini, agli artefici et a chi lo conobbe vivo. Laonde, per onorarlo più nella morte che e’ non avevano fatto nella vita, gli fecero essequie onoratissime nella predetta chiesa; accompagnandolo tutti i pittori, gli architetti, gli scultori, gli orefici e quasi tutto il popolo di quella città. La quale non cessò per lungo tempo di componere in sua lode varie maniere di versi in diverse lingue, de’ quali a noi basta por questi soli che disotto si leggono. Ma prima che io venga agl’epitaffii, non sarà se non bene ch’io racconti di lui ancor questo. Essendo egli amalato, poco inanzi che si morisse, l’andarono a trovare alcuni suoi parenti, e poi che l’ebbono, come s’usa, salutato e confortato, gli dissero che suo debito era lasciar loro un podere che egli aveva in quel di Prato, ancor che piccolo fusse e di pochissima rendita, e che di ciò lo pregavano strettamente. Ciò udito Donato, che in tutte le sue cose aveva