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GIOVANNI BELLINO 433

fratello di Gentile, ma perchè l’ordine delle cose che vi fece depende da quelle fatte in gran parte ma non finite dal Vivarino, è bisogno che di costui alquanto si ragioni. La parte dunque della sala che non fece Gentile fu data a far parte a Giovanni e parte al detto Vivarino, acciò che la concorrenza fusse cagione a tutti di meglio operare. Onde il Vivarino, messo mano alla parte che gli toccava, fece a canto all’ultima storia di Gentile, Ottone sopra detto, che si offerisce al papa et a’ viniziani d’andare a procurare la pace fra loro e Federigo suo padre, e che ottenutola si parte, licenziato in sulla fede. In questa prima parte, oltre all’altre cose, che tutte sono degne di considerazione, dipinse il Vivarino con bella prospettiva un tempio aperto con scalee e molti personaggi; e dinanzi al papa, che è in sedia circondato da molti senatori, è il detto Ottone in ginocchioni, che giurando obliga la sua fede. Acanto a questa fece Ottone arrivato dinanzi al padre che lo riceve lietamente, et una prospettiva di casamenti bellissima, Barbarossa in sedia et il figliuolo ginocchioni che gli tocca la mano, accompagnato da molti gentiluomini viniziani ritratti di naturale, tanto bene che si vede che egli imitava molto bene la natura. Averebbe il povero Vivarino con suo molto onore seguitato il rimanente della sua parte; ma essendosi, come piacque a Dio, per la fatica e per essere di mala complessione, morto, non andò più oltre. Anzi, perchè neanco questo che aveva fatto aveva la sua perfezzione, bisognò che Giovan Bellini in alcuni luoghi lo ritoccasse. Aveva in tanto egli ancora dato principio a quattro istorie, che ordinatamente seguitano le sopra dette. Nella prima fece il detto papa in S. Marco, ritraendo la detta chiesa come stava apunto, il quale porge a Federigo Barbarossa a basciare il piede. Ma quale si fusse la cagione, questa prima storia di Giovanni fu ridotta molto più vivace e senza comparazione migliore, dall’eccellentissimo Tiziano. Ma seguitando Giovanni le sue storie, fece nell’altra il papa che dice messa in S. Marco, e che poi in mezzo del detto imperatore e del doge concede plenaria e perpetua indulgenzia a chi visita in certi tempi la detta chiesa di S. Marco, e particolarmente per l’Ascensione del Signore. Vi ritrasse il didentro di detta chiesa et il detto papa in sulle scalee, che escono di coro, in pontificale e circondato da molti cardinali e gentiluomini; i quali tutti fanno questa una copiosa, ricca e bella storia. Nell’altra, che è disotto a questa, si vede il papa in roccetto, che al doge dona un’ombrella dopo averne data un’altra all’imperatore e serbatone due per sè. Nell’ultima che vi dipinse Giovanni, si vede papa Alessandro, l’imperatore et il doge giugnere a Roma, dove fuor della porta gli è presentato dal clero e dal popolo romano otto stendardi di varii colori et otto trombe d’argento, le quali egli dona al doge; acciò l’abbia per insegna egli et i sucessori suoi. Qui ritrasse Giovanni Roma in prospettiva alquanto lontana, gran numero di cavalli, infiniti pedoni, molte bandiere et altri segni d’allegrezza sopra Castel Sant’Agnolo. E perchè piacquero infinitamente queste opere di Giovanni, che sono veramente bellissime, si dava a punto ordine di fargli fare tutto il restante di quella sala, quando si morì, essendo già vecchio. Ma perchè insin qui non si è d’altro che della sala ragionato, per non interrompere le storie di quella, ora tornando alquanto a dietro, diciamo