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476 SECONDA PARTE

VITA DI BENEDETTO DA MAIANO SCULTORE ET ARCHITETTO

Benedetto da Maiano scultore fiorentino, essendo ne’ suoi primi anni intagliatore di legname, fu tenuto in quello esercizio il più valente maestro che tenesse ferri in mano, e particolarmente fu ottimo artefice in quel modo di fare che, come altrove si è detto, fu introdotto al tempo di Filippo Brunelleschi e di Paulo Ucello, di comettere insieme legni tinti di diversi colori e farne prospettive, fogliami e molte altre diverse fantasie. Fu dunque in questo artifizio Benedetto da Maiano, nella sua giovinezza, il miglior maestro che si trovasse, come apertamente ne dimostrano molte opere sue che in Firenze in diversi luoghi si veggiono; e particolarmente tutti gl’armari della sagrestia di S. Maria del Fiore, finiti da lui la maggior parte dopo la morte di Giuliano suo zio, che son pieni di figure fatte di rimesso e di fogliami e d’altri lavori, fatti con maggior spesa et artifizio. Per la novità dunque di questa arte, venuto in grandissimo nome, fece molti lavori che furono mandati in diversi luoghi et a diversi principi; e fra gl’altri n’ebbe il re Alfonso di Napoli un fornimento d’uno scrittoio, fatto fare per ordine di Giuliano, zio di Benedetto, che serviva il detto re nelle cose d’architettura, dove esso Benedetto si trasferì, ma non gli piacendo la stanza, se ne tornò a Firenze; dove avendo non molto dopo lavorato per Mattia Corvino re d’Ungheria, che aveva nella sua corte molti Fiorentini e si dilettava di tutte le cose rare, un paio di casse con difficile e bellissimo magisterio di legni commessi, si deliberò, essendo con molto favore chiamato da quel re, di volere andarvi per ogni modo; per che fasciate le sue casse e con esse entrato in nave, se n’andò in Ungheria. Là dove, fatto reverenza a quel re dal quale fu benignamente ricevuto, fece venire le dette casse; e quelle fatte sballare alla presenza del re che molto disiderava di vederle, vide che l’umido dell’acqua e ’l mucido del mare aveva intenerito in modo la colla, che nell’aprire gl’incerati, quasi tutti i pezzi che erano alle casse appicati, caddero in terra; onde se Benedetto rimase attonito et ammutolito per la presenza di tanti signori, ognuno se lo pensi. Tuttavia messo il lavoro insieme il meglio che potette, fece che il re rimase assai sodisfatto. Ma egli nondimeno, recatosi a noia quel mestiero, non lo potè più patire, per la vergogna che n’aveva ricevuto. E così messa da canto ogni timidità, si diede alla scultura, nella quale aveva di già a Loreto, stando con Giuliano suo zio, fatto per la sacrestia un lavamani con certi Angeli di marmo. Nella quale arte, prima che partisse d’Ungheria, fece conoscere a quel re che se era da principio rimaso con vergogna, la colpa era stata dell’esercizio che era basso, e non dell’ingegno suo che era alto e pellegrino. Fatto dunque che egli ebbe in quelle parti alcune cose di terra e di marmo, che molto piacquero a quel re, se ne tornò a Firenze, dove non sì tosto fu giunto, che gli fu dato dai signori a fare l’ornamento di marmo della porta della lor udienza, dove fece alcuni fanciulli, che con le braccia reggono certi festoni molto belli. Ma sopra tutto fu bellissima la figura che