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BENEDETTO 477

è nel mezzo, d’un S. Giovanni giovanetto, di due braccia, la quale è tenuta cosa singulare. Et acciò che tutta quell’opera fusse di sua mano, fece i legni che serrano la detta porta egli stesso, e vi ritrasse i legni commessi, in ciascuna parte, una figura, cioè in una Dante e nell’altra il Petrarca: le quali due figure, a chi altro non avesse in cotale esercizio veduto di man di Benedetto, possono fare conoscere quanto egli fosse in quello raro et eccellente. La quale udienza a’ tempi nostri ha fatta dipignere il signor duca Cosimo da Francesco Salviati, come al suo luogo si dirà. Dopo fece Benedetto, in S. Maria Novella di Fiorenza, dove Filippino dipinse la capella, una sepoltura di marmo nero, in un tondo una Nostra Donna e certi Angeli con molta diligenza, per Filippo Strozzi Vecchio, il ritratto del quale, che vi fece di marmo, è oggi nel suo palazzo. Al medesimo Benedetto fece fare Lorenzo Vecchio de’ Medici in Santa Maria del Fiore, il ritratto di Giotto, pittore fiorentino, e lo collocò sopra l’epitaffio, del quale si è di sopra, nella vita di esso Giotto, a bastanza ragionato, la quale scultura di marmo è tenuta ragionevole. Andato poi Benedetto a Napoli, per essere morto Giuliano suo zio, del quale egli era erede, oltre alcune opere che fece a quel re, fece per il conte di Terra Nuova, in una tavola di marmo nel monasterio de’ monaci di Monte Oliveto, una Nunziata con certi Santi e fanciulli intorno, bellissimi, che reggono certi festoni; e nella predella di detta opera fece molti bassi rilievi con buona maniera. In Faenza fece una bellissima sepoltura di marmo per il corpo di S. Savino, et in essa fece di basso rilievo sei storie della vita di quel Santo, con molta invenzione e disegno, così ne’ casamenti come nelle figure; di maniera che per questa e per l’altre opere sue, fu conosciuto per uomo eccellente nella scultura. Onde prima che partisse di Romagna gli fu fatto fare il ritratto di Galeotto Malatesta. Fece anco, non so se prima o poi, quello d’Enrico Settimo, re d’Inghilterra, secondo che n’aveva avuto da alcuni mercanti fiorentini un ritratto in carta: la bozza de’ quali due ritratti fu trovata in casa sua con molte altre cose, dopo la sua morte. Ritornato finalmente a Fiorenza, fece a Pietro Mellini, cittadin fiorentino et allora ricchissimo mercante, in S. Croce il pergamo di marmo che vi si vede, il qual è tenuto cosa rarissima e bella sopr’ogni altra che in quella maniera sia mai stata lavorata, per vedersi in quello lavorate le figure di marmo nelle storie di S. Francesco, con tanta bontà e diligenza, che di marmo non si potrebbe più oltre disiderare; avendovi Benedetto con molto artifizio intagliato alberi, sassi, casamenti, prospettive et alcune cose maravigliosamente spiccate; et oltre ciò un ribattimento in terra di detto pergamo, che serve per la lapida di sepoltura, fatto con tanto disegno, che egli è impossibile lodarlo a bastanza. Dicesi che egli in fare questa opera ebbe difficultà con gl’Operai di S. Croce; perchè volendo appoggiare detto pergamo a una colonna, che regge alcuni degli archi che sostengono il tetto, e forare la detta colonna per farvi la scala e l’entrata al pergamo, essi non volevano, dubitando che ella non si indebolisse tanto col vacuo della salita, che il peso non la sforzasse, con gran rovina d’una parte di quel tempio. Ma avendo dato sicurtà il Mellino che l’opera si finirebbe senza alcun danno della chiesa, finalmente furono contenti. Onde avendo Benedetto sprangato di fuori con fasce di bronzo la colonna, cioè quella parte che dal pergamo