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LIONARDO DA VINCI

tere scaricare con facilità monti e forargli per passare da un piano a un altro, e per via di lieve e di argani e di vite mostrava potersi alzare, e tirare pesi grandi, e modi da votar porti e trombe da cavare de’ luoghi bassi acque; ché quel cervello mai restava di ghiribizzare, de’ quali pensieri e fatiche se ne vede sparsi per l’arte nostra molti disegni, et io n’ho visti assai. Oltre che perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino a l’altro, tanto che s’empiessi un tondo, che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole: Leonardus Vinci Accademia; e fra questi modegli e disegni ve n’era uno, col quale più volte a molti cittadini ingegnosi, che allora governavano Fiorenza, mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza, e sottomettervi le scalee, senza ruinarlo, e con sì forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e’ si era partito, conoscesse per se medesimo l’impossibilità di cotanta impresa. Era tanto piacevole nella conversazione che tirava a sé gl’animi delle genti. E non avendo egli, si può dir, nulla, e poco lavorando, del continuo tenne servitori e cavalli, de’ quali si dilettò molto, e particularmente di tutti gl’altri animali, i quali con grandissimo amore e pacienza governava. E mostrollo ché spesso passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n’era chiesto, li lasciava in aria a volo, restituendoli la perduta libertà. Laonde volle la natura tanto favorirlo, che dovunque e’ rivolse il pensiero, il cervello e l’animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfezzione, di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia, nessuno altro mai gli fu pari.

Vedesi bene che Lionardo per l’intelligenza de l’arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione dell’arte ne le cose, che egli si imaginava, conciò sia che si formava nell’idea alcune difficultà sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora ch’elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai. E tanti furono i suoi capricci, che, filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso de la Luna e gl’andamenti del Sole. Acconciossi dunque, come è detto, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza a l’arte con Andrea del Verrocchio, il quale, faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un Angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’Angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui. Li fu allogato per una portiera, che si avea a fare in Fiandra d’oro e di seta tessuta, per mandare al re di Portogallo, un cartone d’Adamo e d’Eva, quando nel Paradiso terrestre peccano: dove col pennello fece Lionardo di chiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato di erbe infinite con alcuni animali, che invero può dirsi che in diligenza e naturalità al mondo divino ingegno far non la possa sì simile.

Quivi è il fico oltra lo scortar de le foglie e le vedute de’ rami, condotto con tanto amore, che l’ingegno si smarrisce solo a pensare, come un uomo possa avere tanta pacienza; èvvi ancora un palmizio, che ha la rotondità de le ruo-