Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. I, 1912 – BEIC 1904739.djvu/277

Da Wikisource.

relazione di alvise donato 271

di sostentare fuori d’invidia e d’arroganza la grandezza d’un tanto maneggio e la gravitá di cosí pesante carico, m’ingegnai di consolar quei popoli maltrattati e di far che nelle poche settimane del mio governo assagiassero qual sia la dolcezza e la soavitá del regimento viniziano. Che se ciò averò almeno in qualche parte ottenuto, pretenderò d’aver insieme riportato il pregio della mia nascita, fattomi degno della patria e de’ maggiori; e, quando non abbia potuto arrivar al desiato segno, doverá esser scusata la mia debolezza e non sprezzato l’ardor della volontá. Ho travagliato con l’animo, ho affaticato col corpo, ho speso largamente la facultá: non giá per mercanzia o per trarne mercede, ma bensí per restar, come resto, contento, in premio di quel servizio che credo di aver umilmente prestato non meno a Vostra Serenitá che al signor duca di Mantova, del solo beneficio ed acquisto di poter sperare di aver meritato appresso la mia patria la grazia di lei ed appresso il mondo il nome e concetto d’uomo d’onore; ch’è appunto quel vero guiderdone che sogliono cercar gli uomini nati e vissuti in libertá.

Ho detto sinceramente tutto quel ch’io so, piú con vero affetto di cuore che con pompa di concetti, che con ornamento di parole. Supplico in questo ultimo fine Vostra Serenitá, l’Eccellenze Vostre che, se averan osservata la presente mia relazione non cosí pienamente perfezionata come esse per avventura averebbero desiderato, ma in molte parti manchevole e scarsa di diversi piú curiosi particulari, si contentino benignamente d’escusarmene, poiché, non avendo potuto, o per le continue occupazioni dei carichi essercitati o per trovarmi lontano dal principe o anco per mia natural incapacitá, portarmi piú avanti nella notizia delle cose di quello che hanno giá inteso, succede a me in questo caso ciò che giá ne’ secoli passati avveniva a quei che volevano rappresentar agli occhi altrui in tavola o in carta il sito del mondo, che, per non aver ancora notizia di quelle parti di esso alle quali ne’ tempi piú vicini è penetrata la curiosa e ardita industria degli uomini, convenivano però, delineate e figurate quelle delle quali avevano cognizione, ricoprir l’altre col titolo di «terra» o di «mar incognito». Cosi ancor io, avendo riferto fedel-