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capitolo v. 25

impedisce la circolazione; il commercio finirà a lamentarsi ed io, amministratore responsabile, non voglio buscarmi rimproveri meritati.

Bravo borgomastro! egli aveva parlato di commercio e di circolazione, e queste parole, a cui non era avvezzo, non gli avevano scottato le labbra. Ma che avveniva dunque in lui?

«D’altra parte, aggiunse Niklausse, la città non può rimanere priva più a lungo di illuminazione.

— Per altro, soggiunse il dottore, una città che aspetta da otto o novecento anni!

— Ragione di più, rispose il Borgomastro accalorandosi; altri tempi, altri costumi! Il progresso cammina e noi non vogliamo rimanerci indietro! Fra un mese vogliamo che le nostre vie sieno illuminate, oppure pagherete una grossa indennità per ogni giorno di ritardo. Pensate che cosa avverrebbe se nell’oscurità succedesse qualche rissa!

— Senza dubbio! esclamò Niklausse, basta una scintilla per accendere un Fiammingo. Fiammingo! da fiamma.

— Anzi, disse il borgomastro, interrompendo l’amico, ci fu riferito dal capo della polizia municipale, dal commissario Passauf, che ieri sera avvenne una discussione nelle vostre sale, signor Dottore. Si ha forse sbagliato, affermando che si trattava d’una discussione politica?

— È vero, signor borgomastro, rispose il dottor Ox, reprimendo a stento un respiro di soddisfazione.

— E non avvenne forse l’alterco fra il medico Domenico Custos e l’avvocato Andrea Zitto?

— Sì, signor consigliere, ma le espressioni proferite non avevan nulla di grave.

— Nulla di grave! esclamò il borgomastro, nulla di grave, quando un uomo dice ad un altro che egli non misura le sue parole! Ma di che pasta siete fatto? Non sapete voi che in Quiquendone basta questo a produrre spiacevolissime conseguenze? Sappiate, o signore, che se voi, o qualunque altro, si permettesse di parlare così a me...

— Ed a me, aggiunse il consigliere Niklausse.