Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/266

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242 sant’ambrogio


Mi tenni indietro; chè piovuto in mezzo
    Di quella maramaglia, io non lo nego
    D’aver provato un senso di ribrezzo
    28Che lei non prova in grazia dell’impiego.
    Sentiva un’afa, un alito di lezzo;
    Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
    In quella bella casa del Signore,
    32Fin le candele dell’altar maggiore.

Ma in quella che s’appresta il Sacerdote
    A consacrar la mistica vivanda,
    Di subita dolcezza mi percuote
    36Su, di verso l’altare, un suon di banda.
    Dalle trombe di guerra uscian le note
    Come di voce che si raccomanda,
    D’una gente che gema in duri stenti
    40E de’ perduti beni si rammenti.

Era un coro del Verdi; il coro a Dio
    Là de’ Lombardi miseri assetati;
    Quello: O Signore, dal tetto natio,
    44Che tanti petti ha scossi e inebriati.
    Qui cominciai a non esser più io;
    E come se que’ côsi doventati
    Fossero gente della nostra gente,
    48Entrai nel branco involontariamente.

Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
    Poi nostro, e poi suonato come va;
    E coll’arte di mezzo, e col cervello
    52Dato all’arte, l’ubbíe si buttan là.
    Ma cessato che fu, dentro, bel bello
    Io ritornava a star, come la sa;
    Quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
    56Da quelle bocche che parean di ghiro,