Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/366

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342 alla memoria di carlo falugi.


E d’infausto cipresso il crin ricinti,
     Corron gli amici del perduto all’urna
     A tributar le lacrime e i giacinti.

E la tenera sposa taciturna
     Cova la doglia acerba, che l’istiga
     L’odïata a fuggir luce diurna.

E di debito pianto il volto riga,
     O splenda in cielo la benigna lampa,
     O Febo asconda in mar la sua quadriga.

Così, diletto Carlo, in noi si stampa
     Tua sospirata imago, e del desio
     Degli amplessi cessati ognuno avvampa.

Ond’è che intento a mesto ufficio e pio
     Muovesi di compagni un ordin denso
     In bruna veste alla magion di Dio.

Ed implora a te requie, ed all’Immenso
     Offre voti che al ciel ratti sen vanno,
     Siccome nube candida d’incenso.

Gli ode placato il Nume, e il duro affanno
     Dell’orbata famiglia appoco appoco
     Calma pietoso, e ne conforta il danno.

O Voi, che offende in questo basso loco
     Cura molesta, o morbo grave e lento,
     Sprezzate di Fortuna il vario gioco.

Questo Garzone innanzi tempo spento
     V’additi che quaggiù vana è la speme,
     Ed ombra che dileguasi il contento.

Per lui già già fioría l’eletto seme
     Che dei più nella mente Inerzia cela;
     In lui grazia e virtù cresceano insieme.

Ma di repente s’infranse la vela
     Che prometter parea sì lieto corso;
     Nè valse all’uopo la comun querela.