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(VIII.)

Van d’insolubil nodo, e che mi giova
Tacendo trapassar, perche intra loro
Di più vivo rossor quella non arda
115Che austera, e schiva i tuoi senfier governa.
Ma perch’i’ taccia, meno a dito mostre
Non andran esse, nè men chiare, e conte.
Roee, che al bel ringiovenir de l’anno
Apriro in colta, e ben guardata piaggia,
120Mal puon celarsi, che per l’aure sparso
Il vagabondo odor tragge al secreto
Felice cespo l’innocente mano
Di Verginella, che le ammira, e poscia
Per vaga pompa del bel crin le coglie.
125Dov’or n’andò Colei, che già s’udia
Su queste sponde dal tuo dotto labbro
Salubri, e rette di non falso onore
Dettar dottrine, e a ciascun dar suo dritto?
Avanti a cui le immaginette offese
130Sparian, qual nebbia al Sole, e a la vendetta
Cadean l’ire dal cor, cadean dal torvo
Ciglio l’aspre minacce, e in un cadea
Di man repente il mal nudato ferro;
E le civili, e le divine leggi,


Che