Pagina:Viaggio in Dalmazia.djvu/338

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stevoli a dissuaderne il viaggio. Non è possibile l’andarvi con cavalcature di sorte alcuna: e riesce per conseguenza malagevole anche l’arrampicarvisi co’ piedi, e colle mani. La curiosità d’andar a vedere le Ledenizze, o conserve naturali di ghiaccio, che nell’ardente bollore della State mantiensi nelle caverne della più alta parte della montagna, mi spinse ad intraprenderne la scalata. Il soavissimo Amico mio Signor Giulio Bajamonti, acconsentì a tenermi compagnia. Noi partimmo allo spuntare del giorno da Macarska, con due Primoriani per guide, senza de’ quali non sarebbe venuto il mio prudente Compagno, che non istimava benfatto d’esporsi a qualche incontro di Haiduci, molti de’ quali assicurati dall’asprezza del sito abitano come Lupi pelle grotte del Biocovo. Io più inconsiderato, o più disposto a contare su la probità di que’ banditi, i quali pur troppo spesso lo sono pell’avarizia d’un rapace Ministro piucchè per un vero delitto commesso, sarei andato volontieri anche solo. Il dorso della Montagna è tutto rovinoso, e i sentieri meno impraticabili a’ quali dovemmo determinarci furono quelli pe’ quali scendono le piovane; le ghiaje, e i sassi rotti ci mancavano sotto i piedi, e ricordavanmi la faticosa salita del Vesuvio, nella quale io ebbi l’onore d’accompagnarvi, dove pur troppo a lungo ci accadde di mettere un piede innanzi per trovarci un passo addietro.

La bella vista del Mare, de’ Promontorj, e dell’Isole, che di lassù si gode perfettamente, fu quasi il solo compenso della nostra fatica. Le diacciaje, alle quali per un ben lungo, e disastroso cammino, saltando di roccia in roccia vollimo portarci, non aveano più ghiaccio sul principio d’Ottobre. Noi discesimo in una profondissima voragine, che riceve lume dall’alto, e di fianco poi diramasi chi sa quanto addentro le viscere