Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. I, 1928 – BEIC 1964037.djvu/111

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degli elementi 105


costanza è per diametro opposto a Livio, che narra intorno a ciò: i nobili, per dirla con lui, «desiderio plebis non aspernari». Onde, per questa ed altre maggiori contrarietá osservate ne’ Principi del Diritto universale, essendo cotanto tra lor opposti i primi autori che scrissero di cotal favola da presso a cinquecento anni dopo, meglio sará di non credere a niun degli due. Tanto piú che ne’ medesimi tempi non la credettero né esso Varrone, il quale nella grande opera Rerum divinarum et humanarum diede origini tutte natie del Lazio a tutte le cose divine ed umane d’essi romani; né Cicerone, il qual in presenza di Quinto Muzio Scevola, principe de’ giureconsulti della sua etá, fa dire a Marco Crasso oratore che la sapienza de’ decemviri di gran lunga superava quella di Dragone e di Solone, che diedero le leggi agli ateniesi, e quella di Ligurgo, che diedele agli spartani: ch’è lo stesso che la legge delle XII Tavole non era né da Sparta né da Atene venuta in Roma. E crediamo in ciò apporci al vero: che non per altro Cicerone fece intervenire Quinto Muzio in quella sola prima giornata che — essendo al suo tempo cotal favola troppo ricevuta tra’ letterati, nata dalla boria de’ dotti di dare origini sappientissime al sapere ch’essi professano (lo che s’intende da quelle parole che ’l medesimo Crasso dice: «Fremant omnes; dicam quod sentio») — perché non potessero opporgli ch’un oratore parlasse della storia del diritto romano, che si appartiene saper da’ giureconsulti (essendo allora queste due professioni tra lor divise); [onde], se Crasso avesse d’intorno a ciò detto falso, Muzio ne l’avrebbe certamente ripreso, siccome, al riferir di Pomponio, riprese Servio Sulpizio, ch’interviene in questi stessi ragionamenti, dicendogli «turpe esse patricio viro ius, in quo versaretur, ignorare».

285Ma, piú che Cicerone e Varrone, ci dá Polibio un invitto argomento di non credere né a Dionigi né a Livio, il quale senza contrasto seppe piú di politica di questi due e fiorí da dugento anni piú vicino a’ decemviri che questi due. Egli (nel libro sesto, al numero quarto e molti appresso, dell’edizione di Giacomo Gronovio) a piè fermo si pone a contemplare la