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[CAPITOLO SECONDO]

delle famiglie de’ famoli innanzi delle cittá, senza
le quali non potevano affatto nascere le cittá.

553Perché finalmente, a capo di lunga etá, de’ giganti empi, rimasti nell’infame comunione delle cose e delle donne, nelle risse ch’essa comunion produceva, come i giureconsulti pur dicono, gli scempi di Grozio, gli abbandonati di Pufendorfio, per salvarsi da’ violenti di Obbes (come le fiere, cacciate da intensissimo freddo, vanno talor a salvarsi dentro ai luoghi abitati), ricorsero alle are de’ forti; e quivi questi feroci, perché giá uniti in societá di famiglie, uccidevano i violenti ch’avevano violato le loro terre, e ricevevano in protezione i miseri da essolor rifuggiti. E oltre l’eroismo di natura, d’esser nati da Giove, o sia generati con gli auspíci di Giove, spiccò principalmente in essi l’eroismo della virtú, nel quale sopra tutti gli altri popoli della terra fu eccellente il romano, in usarne appunto queste due pratiche:

Parcere subiectis et debellare superbos.

554E qui si offre cosa degna di riflessione, per intendere quanto gli uomini dello stato ferino fossero stati feroci e indomiti dalla loro libertá bestiale a venire all’umana societá: che, per venir i primi alla prima di tutte, che fu quella de’ matrimoni, v’abbisognarono, per farglivi entrare, i pugnentissimi stimoli della libidine bestiale e, per tenerglivi dentro, v’abbisognarono i fortissimi freni di spaventose religioni, come sopra si è dimostrato. Da che provennero i matrimoni, i quali furono la prima amicizia che nacque al mondo; onde Omero, per significare che Giove e Giunone giacquero insieme, dice con eroica gravitá che tra loro «celebrarono l’amicizia», detta da’greci φιλία dalla stessa origine ond’è φιλέο, «amo», e dond’è da’ latini