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296 libro secondo - sezione quinta - capo terzo


«dominio di roba libera da ogni peso privato». Il dominio quiritario non piú significò dominio di fondo, dal cui possesso se fusse caduto il cliente o plebeo, il nobile, da cui aveva la cagion del dominio, doveva venir a difenderlo; che furono i primi «autores iuris» in romana ragione, i quali, per queste e non altre clientele ordinate da Romolo, dovevano insegnar a’ plebei queste e non altre leggi. Imperciocché quali leggi dovevan i nobili insegnar a’ plebei, i quali fin al CCCIX di Roma non ebbero privilegio di cittadini, e fin a cento anni dopo la legge delle XII Tavole, dentro il lor collegio de’ pontefici, i nobili tennero arcane alla plebe? Sicché i nobili furon in tali tempi quelli «autores iuris», ch’ora sono rimasti nella spezie ch’i possessori de’ fondi comperati, ove ne sono convenuti con revindicazione da altri, «lodano in autori», perché loro assistano e gli difendano: ora tal dominio quiritario è rimasto a significare dominio civile privato assistito da revindicazione, a differenza del bonitario, che si mantiene con la sola possessione.

622Nella stessa guisa, e non altrimenti, queste cose sulla natura eterna de’ feudi ritornarono a’ tempi barbari ritornati. Prendiamo, per esemplo, il regno di Francia, nel quale le tante provincie, ch’ora il compongono, furono sovrane signorie de’ principi soggetti al re di quel regno, dove que’ principi avevano dovuto avere i loro beni non soggetti a pubblico peso veruno: dipoi, o per successioni o per ribellioni o caduci, s’incorporarono a quel reame, e tutti i beni di que’ principi ex iure optimo furono sottoposti a’ pubblici pesi. Perché le case e i fondi di essi re, de’ quali avevano la Camera reale lor propia, o per parentadi o per concessioni essendo passati a’ vassalli, oggi si truovano assoggettiti a’ dazi e tributi: tanto che ne’ regni di successione tale s’andò a confondere il dominio ex iure optimo col dominio privato soggetto a peso pubblico, qual il fisco, ch’era patrimonio del romano principe, si fusse andato a confondere con l’erario.

623La qual ricerca del censo e dell’erario è stata la piú aspra delle nostre meditazioni sulle cose romane, siccome nell’Idea dell’opera l’avvisammo.