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scarco». Anche qui m’è nato qualche scrupolo in mente, e pregate il signor don Giambattista che sia confessore benigno, mi senta con bontá e me ne liberi. Quelle due desinenze per la stessa lettera: «e ’1 strai», e quelle due «d»: «di strai d’oro», e quelle tre ultime parole che terminano tutte in «o», e quelle due ultime che terminano nella stessa sillaba: «anco scarco», sono i miei scrupoli. Se sono scrupoli d’acqua santa, il signor don Giambattista mi benedica ed è finita. Io ho fatto in due maniere: «Ed il turcasso di quadrella scarco»; «Ed il turcasso de’ bei dardi (o strali) scarco». Se stima cosi, o pure mi cambiasse a suo piacere quel verso.

Però, signor Gioseppe mio, se vi pare che questa sia minima disattenzione al signor don Giambattista, non glielo dica, perché ci lascerò il verso da lui accomodatomi, bastandomi che il sonetto sia passato sotto l’occhio suo, mentre non vorrei che mi tenesse per disattenta, nascendo questo solamente dalla mia ignoranza. Fate voi. Compatite l’incomodo v’arreco e mi vi dichiaro serva.

[Napoli, poco dopo il maggio 1738.]

LXXXII

DI MONSIGNOR MUZIO GAETA

Ringrazia per il dono del volume pubblicato dai professori deH’imiversitá napoletana nell’occasione sopradetta.

Ricevo in luogo di caro dono e d’amore e di favor singolare non meno le obbligantissime lettere di Vostra Signoria illustrissima che la cortesia, che con pieno gradimento ho ricevuta, d’una copia di cotesta reale accademia, celebrata nelle grandi nozze de’ nostri serenissimi regnanti, che il Signor sempre feliciti. Me ne corre dunque il debito di pienamente e distintamente ringraziamela, siccome avrò primo anche il bel motivo di altamente lodare e ammirare il grand’ingegno ed arte di si dotti ed esperti accademici; tra’ quali Ella, senza controversia, ha