Pagina:Vico - Autobiografia, carteggio e poesie varie, 1929 - BEIC 1962407.djvu/319

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scopo, occorreva che Filippo prendesse gli ordini maggiori e quindi possedesse un patrimonio sacro: cosa impossibile, perché, come scriveva il Galiani in una consulta del 24 febbraio 1745, «il padre, benché uomo di molti meriti, ha lasciata la famiglia molto povera». Tentò bensí monsignor Celestino di far concedere, in cambio, al giovane un beneficio ecclesiastico di regia collazione; ma, poiché tutte le sue premure furono vane, Filippo, lasciata intorno al 1746 la cappella regia, fini, come s’è visto (p. 129), col prendere moglie.

io. Giudizi di Bernardo Tanucci sul Vico.

Veramente, del V., il Tanucci (1698-1783) discorse, prima che in lettere ufficiali o confidenziali, anche e sopra tutto in libri a stampa, e cioè in quelli contro il padre Guido Grandi, suo collega nell’universitá di Pisa, durante la famosa polemica a proposito delle Pandette. Giá nell’ si d nobiles socios Cortonenses, qui accademici Etrusci dicuntur, epistola, in qua nonnulla refutantur ex epistola Guidonis Grandi , ecc. (Lucca, 1728), viene ricordato che il «doctissimus iurisconsultorum, qui a foro abstinent», cioè il V., aveva negato, nel Diritto universale , la venuta di Ermodoro in Italia e la derivazione delle XII Tavole dalla legislazione solonica. Nella Difesa seconda dell’uso antico delle Pandette e del ritrovamento del famoso manoscritto di esse in Amalfi (Firenze, 1729), confutando il Grandi, che nelle Vindiciae prò sua epistola de Pandectis (Pisa, 1728), aveva messo in rilievo che nel De studiorum ratione e nel De antiquissima era stato affermato dal V. precisamente il contrario di ciò che diceva il Tanucci, quest’ultimo osservava che il V. si sarebbe assai maravigliato che il Grandi ignorasse ancora come, nella Scienza nuova prima, della quale l’autore «fece regalo alla nostra Universitá, scrivendo una lettera piena di stima al signor Giuseppe Averani» (quella, dispersa, ricordata a p. 55 del presente volume), si sostenesse invece con * fortissime ragioni, tratte da un giudizio finissimo e risultanti molto bene da’ piú stimati principi di critica, di storia, di metafisica, di politica e di morale» , il carattere favoloso della derivazione delle XII Tavole da fonti greche. Le quali opinioni del V., ancora piú a lungo esaminate e discusse dal Tanucci nella Epistola de Pandectis pisanis, ecc. (Firenze, 1731), furono, naturalmente, dal Grandi, alla cui tesi polemica nuocevano parecchio, definite «visioni amenissime, se altre mai» , e poco