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XVI

AL SUDDETTO

per la professione di sua figlia. Sonetto abusivo all’aria sorridente espressa nel ritratto della sacra sposa, dipinto dal celebre Castelli prima ch’ella entrasse nel chiostro.

Qual io la veggio con un riso in bocca
da maestri colori espressa al vivo,
tal era un di costei, quando il nativo
dolce albergo lasciò, rosa non tócca.

Tal è pur oggi che l’aurata ciocca
offre del crine in su l’altar votivo
fra il lieto suon de l’organo festivo
e il vano pianto de la turba sciocca.

Odi, Fernando, e l’amor tuo consola:
regnerá sempre il gaudio entro quel viso,
né involar gliel potrá chi tutto invola.

Anzi tu stesso un giorno in paradiso
fra le bell’alme da la nivea stola
conoscerai la figlia a quel sorriso.

xvrr

AL SUDDETTO

Sonetto allusivo allo stesso ritratto dipinto dal celebre Castelli.

Tu noi vedi, o signor (’), però che amore
ti fa gelosamente un velo a gli occhi:
io si, né il taccio; e giá d’un sacro orrore
e d’egual meraviglia i sensi ho tócchi.

Veggo pallida farsi al tuo dolore
la muta effigie che piangendo adocchi.

Par che le tremi sotto ai panni un core,
par che un accento in su quel labbro scocchi.

Ah! forse da lontano ode i soavi
tuoi gemiti la figlia, e impietosita
manda il suo core a chi ne tien le chiavi.

Ma giunto appena onde recarti aita,
scopre l’effigie che di pianto lavi;
la crede il suo bel frale e le dá vita.

(i) Mentre la donzella viaggiava per V Italia, accompagnata da una sua zia, il
padre tenerissimo spendeva molte ore del giorno a contemplarne il ritratto.