Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/201

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23

Per misurare adesso egual ricciaia
non basterebbe il cubito e la sesta,
mentre in Fillide e Nice e Clori e Aglaia
la zazzera é maggior di quel che resta:
e il pondo vertical d’opra si gaia
frena il cervel de la femminea testa,
che non avendo un simile coverchio,
voleria tutto de la luna al cerchio.

24

O padre Atlante, che con l’erta spalla
reggi e sostenti il mondiale incarco,
vegg’ io con istupor che giá traballa
de la tua schiena il robustissim’arco;
poiché quell’ampia sterminata palla,
ond’ è l’omero tuo gravato e carco,
al nuovo peso dei tupé moderni
ti debilita e snerva i fianchi eterni.

25

Or via, monsú Lesbino, a dritta e a manca
di polvere gialliccia e biondeggiante
spargi l’alto cimier, poiché la bianca
pregiasi men dal secolo galante.

Se natura mancò, l’arte non manca
di render bionde tante teste e tante,
e perfino ministra il suo servigio
ad un crine talor canuto e bigio.

26

Se biondi non avea ricciuoli e chiome
l’ innamorata del gentil Petrarca,
solcato avrebbe di Lauretta il nome
l’acque obliose in su la nera barca:
or del tempo le forze e V ire dome,
tranquillamente ad ogni etá sen varca,
e risuona tuttor da l’Indo al Moro
de la vaga franzese il bel crin d’oro.