Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/212

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4

Né stupirmi vedrai se quel mercante
che annovera le doppie a mille a mille,
voglia col suo tupé fare il galante,
poiché l’oro supplisce a campi e a ville.

Ma soffrir non poss’ io che un trafficante
meschino possessor di quattro spille,
per costume si sconcio e si ribaldo
rimanga in sul color de lo smeraldo.

5

Del Mogol ci vorrebbono l’entrate
a satollare ambizion si ghiotta.

Quanti l’ intero prò di due giornate
fan che in un’ora il parrucchiero inghiotta!

E poi teste si strambe e si sventate
avransi a male, se talun borbotta?

Gridiam tutti, gridiamo a piú non posso:

— Ma ve’ quanti cimier saltanci addosso! —

6

Arazzieri, trecconi ed armaiuoli,
orafi, pelacani e calzolai,
polveristi, arrotini, refaiuoli,
droghieri, pizzicagnoli, offellai,
osti, fabri, tintori, pesciaiuoli,
librari, maniscalchi, lasagnai,
cuochi, guatteri, zaffi, beccamorti,
spazzacamini, e il diavol che li porti.

7

E piú lor mogli recansi ad ingiuria
le mie parole e brontolan sottecchi;
esse che al tempo mio non han penuria
di parrucchieri, d’abiti e di specchi.

Ma sovra ogni altra le merciaie a furia
mi strapperiano volentier gli orecchi ;
le quai tra fiori e nastri e merli e cresta
portano mezza la bottega in testa.