Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/214

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Tale si legge anticamente scritto,
che chi per altra via non si rifugia
lontan dal fiume allagator d’Egitto,
nel cocodrillo inciampa che il trangugia;
e poi quel mostro si rimane afflitto
che a piangere e a dolersi non indugia:
ma il pentimento è intempestivo, mentre
ei non puote digiun tornare il ventre.

13

Quinci ben lisci e pettinati i crini
cercano di vestir pomposi arredi:
quinci le mogli lor di sopraffini
merletti e taffetá cariche or vedi.

Lo strascico di poi non ha confini,
il qual per gioco imbrattano co’ piedi ;
e sembran dire a chi per lá s’avvia:

— Calco il mio fasto e la superbia mia. —

14

Oh ! se, come veggiam ne’ prischi annali,
le provocate furibonde stelle
a’ giorni miei cangiassero i mortali
in altre metamorfosi novelle;
qual corpo vestirian femmine tali,
vaghe sol d’acconciarsi e d’esser belle?
Certo parriami al fasto lor dovuta
del superbo pavon la spoglia occhiuta.

15

Ma tanto drappo che s’ impiega e tanto
ne l’ondeggiante amplissimo contorno
di quel donnesco sciorinato manto,
perché mai non si pone a’ figli intorno?
Essi staranno sotto chiave intanto
per lo rossore che li vegga il giorno,
tutti cenciosi, screziati e pesti,
senza camicia forse e senza vesti.