Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/225

Da Wikisource.

Poiché vide giacer l’esangue spoglia
de la sua cara e grata compagnia,
non piú reggendo a P infinita doglia
mori di tormentosa ipocondria,
e giunto de l’Eliso in su la soglia:

— O madonna — gridò, — madonna mia,
ecco il tuo fido cavalier che viene
a ritrovarti ne l’elisie arene. —

25

Rimase ognun di stucco e di macigno,
e madonna gli diede il ben venuto;
poi vólto agli altri con gentil sogghigno
replicò quello spirto il suo saluto;
e ciascuno in mirar l’altero ordigno
che su la fronte avea, stavasi muto;
ordigno che per dritto e per traverso
dal tupé femminino è assai diverso.

26

Liscio torreggia in mezzo alla cucuzza
l’aureo inaccessibile edifizio,
e tanto le sue cime in alto aguzza
che minaccia rovina e precipizio;
e quel peso, cred’ io, frena e rintuzza
di certe teste il debole giudizio,
che non avendo si gran mole addosso,
voleria ne la luna a piú non posso.

27

Benché salga quel crine immensi stadi,
pure al donnesco mirasi disotto
almeno almeno diciassette gradi,
oppur, com’altri vogliono, diciotto.
Enormissima tanto in altre etadi
certo non fu la torre di Nembrotto,
o il tumulo ch’alzò per cruda morte
la dolente Artemisia al buon consorte.