Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/240

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12

Ma giá comincia a torreggiar il crine,
e Iole su lo specchio il guardo aguzza:
compiesi l’edifizio, e tutta alfine
per intimo piacer si ri rigali uzza.

Indi quelle manucce alabastrine
di cristallino umor l’ancella spruzza;
e su le dita de la casta ninfa
la profumata sgorga innocua linfa.

13

Quinci con molle spugna o pannolino
l’intatta neve del bel viso terge,
come far suole candido armellino,
che a biancheggiar vie piu nel rio s ! immerge.
Poi di belletto acconcio e sopraffino,
quanto il vetro desia, le gote asperge;
e per lucido «albore in trita polve
le perle comogotiche dissolve.

14

Se in lor tanta scoprici virtú novella
che le seguaci etá rinvenner dopo,
la regnatrice incestuosa e bella
del fario sen, de l’amicleo Canopo,
avrebbe un tempo risparmiata quella
meravigliosa perla a simil uopo,
di comparir fra le vivande paga
quanto fastosa men, tanto piú vaga.

CS

Né sol Egle, Nerea, Filiinda e Nice,
soggette, oimè, de l’itterizia ai danni,
ricorrono dolenti a la vernice,
che Pinvido squallor tolga ed appanni:
ma sin l’etade rancida e infelice
che pieno ha il dorso di magagne e d’anni,
le rughe avvien che stranamente implichi
di putridi color, d’unti orichichi.