Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/250

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20

E giá dal flutto rio quasi assorbito
questi angosciosi gemiti discioglie:

— Non cosi Giove sul cretense lito
il fior portò de le agenoree soglie,
mentre col piè velloso e bipartito
correva il mar sotto bovine spoglie,
come a le indarno sospirate spiagge
Gonfiagote natante ora mi tragge. —

21

Quand’ecco orrida serpe a l’improvviso
da l’imo fondo sovra l’acque alzossi,
che il ranocchio ed il topo ebbe conquiso
al lunghissimo collo, a gli occhi rossi.
Vistala appena Gonfiagote in viso,
ne la palude rapido tuflòssi,
l’amico Rubabricioli obliando,
che giacque allor d’ogni soccorso in bando.

22

Entro i liquidi spazi abbandonato
stringea le mani, querulo gridava,
e calci sciorinando in ogni lato,
or sotto or sopra il topolino andava.

Ma invan del sordo inesorabil fato
l’aspro rigore di schermir tentava,
ché inzuppatosi d’acqua il corpo tutto,
mori gridando stramazzon nel flutto.

23

— Non sarai tu nascoso, o traditore,
agli dèi, che sapranno il fatto occorso,
d’avermi giú ne l’affogante umore
slanciato alfin qual da montano dorso.

Di Rubabriciol non fostú migliore
ne l’atletica lotta o ver nel corso:
tu m’ ingannasti ; ma vedrá quest’onte
l’occhio vendicator che Giove ha in fronte.