Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/277

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8

Giunto a la porta del fatai ricovero,
tutto quanto si agghiaccia ed informicola:
batte pian piano a l’usciolin di rovero,
e lagrimando queste voci articola:

— O amabile fanciulla, io sono un povero
che mezzo brustolata ha la cuticola:
amore, amor, né vi dirò pantraccola,
tutto ardendo mi va con la sua fiaccola.

9

Sin dal momento che le piú benevole
stelle di vagheggiarvi mi permisero,
quel dolce brio, quel volto lusinghevole,
e que’ ritondi occhietti, ahi! mi conquisero.
Dunque, se voi non siete irragionevole,
movetevi a pietá d’un cor si misero... —

Qui si raggricchia a guisa de le chiocciole
e tutto bagna il sen di calde gocciole.

10

A quel gemito amaro, a quell’angoscia
Simona vergognosa e pusillanima
sente ferita la sinistra coscia
da l’amoroso strale e si disanima.

Manda fuor due singhiozzi e grida poscia:

— Qual affanno crudel mi turba l’anima!
Pulcinella, son tua: per lo riverbero

de’ fulgidi occhi miei, lo giuro a Cerbero. —

11

E si dicendo gentilmente spruzzola
tutta la faccia di soave mucchero
al bel Pulcinellin, che ringalluzzola
e quasi affoga dentro a un mar di zucchero.
Non è tanto odorosa una meluzzola,
né cosi grato fuma il té nel bucchero,
come quei labbri allor che si dimenano,
e non parlano giá, ma cantilenano.