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LXXXVI

PER GLI SPONSALI DEL CONTE DI ROVERO

colla contessa D’Onigo Zacco.

Aure di San Zenone, e voi graditi
a le silvestri ninfe ameni clivi,
sparsi di folti verdeggianti olivi
e di feconde pampinose viti;

roveria mole che da lunge inviti
gli ospiti cavalieri, e godi quivi
ne’ begli ozi autunnali e negli estivi
laute cene apprestar, lauti conviti;

e voi dolci e serene aure del loco,
raddoppiate i germogli e fuor d’usanza
fate nascere invece amomo e croco.

E tu, roveria mole, orna la stanza
e il talamo prepara, ove fra poco
vedrassi germogliar la tua speranza.

LXXXVI I

AL SIGNOR LUIGI FLORIO DI UDINE

in risposta ad uno di lui sul poemetto dell’autore intitolato II tupè .

Qual molle suon spontaneamente uscio,

Luigi, dal tuo plettro aureo canoro,
che il mal contesto giovenil lavoro
e me di lande inaspettata empio?

Melpomene, Polinnia, Erato e Clio
con V altre cinque del pierio coro
non diermi ancor quell’ immortale alloro,
che sul capo non merto e non desio.

A sé mi appella il megarense Euclide,
e vuol eh’ io segua, fervido geometra,
le sue pedate avventurose e fide.

Tempera tu la non bugiarda cetra,
e armato il sen contro l’usanze infide,
stringi l’armi pietose e la faretra.

De la mosaica pietra
attingi al rivo, e sia Parnaso e Deio
l’ardente Orebbo e il mistico Carmelo.