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Nel 1630, durante la terribile peste egli si era fatto preparare nella chiesa di Gitana un sepolcro pel quale aveva anche dettata la seguente iscrizione:

donec tuba
paulus aemilius parlaschinus
frequentissima ultimi terribilium
cogitatione commotus in hoc
delurbo ubi casibus adversis
praesentem divini numis
clementiam est expertus hunc
tumulum sibi ponendum curavit
anno reparationis humanae
mdcxxx etatis suae lx
quiescam


Emilio Parlaschino doveva essere molto amato a Varenna e godervi molta considerazione, perchè dall’anno 1639 al 1647, vediamo che con molta frequenza è chiamato come compare nei battesimi dei neonati.

Nella chiesa di Gitana esiste un quadro votivo ad olio, molto sbiadito e corroso, che rappresenta il Parlaschino indossante un mantello ed un cappello a larghe falde, e con la scritta che ebbe la grazia di guarire da una piaga mortale causata da un colpo di archibugio, è di essere stato salvalto due volte dal veleno.

Fra i vari scritti che esistono di Paolo Emilio Parlaschino, sciegliamo questa lettera da lui indirizzata a Don Gregorio Sfondrati cappuccino, nella quale parla delle bellezze della villa Capoana.

«Sono tante e così grandi le obbligationi che lo devo ai grandissimi meriti suoi, per molti segni d’amore che mi ha mostrato in occasione di riverirla, conforme al debito mio, che mi hanno spinto a dichiararle per uno di quelli suoi intimi che hanno consacrato con la servitù la propria vita e suoi comandamenti.

Mi sono immaginato che basterebbe a scuoprirla l’ardente brama ch’io tengo della sua buona gratia, il dimostrarle il pregio e la molta stima in che io tengo le loro grandezze, non dirò lodando quanto converrebbe perchè a ciò sono inhabile: ma ammirando le bellezze della sua fiorita Capoana; ho trovato qualche cosa dei suoi ornamenti alla sfoggita e dedicato i miei scherzi ai diletti delI’Illmo Signor don Ercole, suo degnissimo nipote, e mio signore quando per alleggerire la continuatione dei suoi studi delle più importune hore degli estivi ardori, si vorrà hora in questo, hora in quell’altro ricreare. E se questo segno di dovuta riverenza, et in obbligata servitù è prova alla loro grandezza et al desiderio mio di servirli, maggiormente supplico il singolare affettto della sua cor-