Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/118

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106 annie vivanti


— Ah! Il signorino torna? Ma davvero? Ma possibile?

— Sì. Arriva stasera. Alle nove, — sospirò la Villari.

— Bene, bene. Ma la signora non lasci freddare i maccheroni.

E anche Teresa, andandosene, sospirò, e mandò via il fattorino del telegrafo senza dargli mancia.

Erano stati bei giorni questi senza il signorino. Si era sempre mangiato in pace. Ed è già una cosa poter mangiare in pace. La signora non aveva mai avuto i nervi. Ed è già una cosa non avere i nervi. E adesso si sarebbe tornati alle solite. Le scene della signora e le sfuriate del signorino; il pranzo che diventa freddo mentre loro ragionano; le uscite del signorino colle porte che sbattono; i pianti e le convulsioni della signora; i telefonamenti, i parenti e gli amici che vengono a consolare e persuadere la signora; i ritorni del signorino; e poi da mangiare per tutti, magari alla una o le due di notte!... No, non era una vita.

Teresa portò in tavola la flava costoletta alla milanese.

— Ecco! ci siamo già! L’illustrissima non ha mangiato i maccheroni.

— Oh! Non seccarmi coi maccheroni, — esclamò l’illustrissima che aveva già i nervi. — Pensiamo piuttosto a questa sera... cosa si fa?

— Eh! facciamo un bell’osso buco che piace a Sua Eccellenza il signorino. Allora diciamo: l’osso buco —

— Oh non seccarmi coll’osso buco, — gridò l’illustrissima. — Non capisci che non deve trovarci a questo modo?

— Vossignoria metterà l’abito di crespo rosa, e faremo venire il parrucchiere alle sei. Le pare?

— Sì, sì. Ma non basta.