Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/120

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108 annie vivanti


E con schiena negligente e strascinando i piedi Teresa se ne andò a ordinare i fiori e la carrozza e la pettinatrice.

Nunziata, rimasta sola, si sciolse i capelli, ne mise la maggior parte sulla tavola di toeletta pronta per il parrucchiere, si stropicciò un po’ di lanolina intorno agli occhi e si sdraiò in poltrona con un romanzo della Serao ad assaporare un’ultima mezza giornata di calma.

L’amore non era calmo; l’amore era incomodo ed agitante. E il dover mantenere la finzione di avere ventotto anni quando se ne hanno quarantacinque è una fatica e una pena. Certo, ella adorava Nino; al solo pensiero che egli potesse stancarsi di lei o abbandonarla definitivamente le balenavano truci visioni di vendetta e di vetriolo, di disperazione e di morte. Ma ahimè! quanto ella invidiava quelle placide donne felici, che arrendono senza lotta la loro gioventù, che mansuete s’abbandonano al soave declinare della loro vita, come una nave entra in acque calme. Ma essa, perchè il suo amante era giovane, doveva battagliare convulsa e tenace con gli anni ingolfatori e inesorabili. Ed ella si aggrappava, disperata, alla giovinezza; la teneva stretta come un bimbo afferra e stringe nelle mani un uccelletto selvatico che palpita per sfuggirgli. Ahi, quando il bimbo apre la mano il prigioniero è morto. Meglio lasciarlo volar via quando era l’ora.

Così pensava Nunziata Villari. Le vane penne ella le stringeva ancora. Ma già l’alata giovinezza era morta.

Sospirò e aprì il libro; poi soffocò i pensieri sotto la calda potente prosa di Matilde Serao.

Il treno di piacere arrivò a Napoli alle cinque, all’ora appunto in cui il fiorista della strada Caracciolo inseriva un fil di ferro nella gola verde dell’ultima delle candide rose per l’illustrissima. Cento lire di rose a Napoli nel