Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/140

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128 annie vivanti


— Sono seccato, — ripetè Carlo; — sento che non dovrei permettere che quel malarnese di mio fratello sposi quella cara ragazzina. So che la renderà infelice.

— Ma che! — disse Clarissa, — neanche per idea! Nancy sarà perfettamente beata scrivendo dei versi sul profilo di Aldo, finchè s’accorgerà che tutte le sue qualità terminano col suo naso greco. E allora si consolerà con qualcun altro. E sarà felice lo stesso.

— Ah, va bene, — grugnì Carlo. — Forse te ne intendi più di me. Già, voialtre donne siete tutte vipere, che non sapete che graffiare e gracidare.

— Che metafora mista! — mormorò Clarissa, spegnendo la candela col suo libro, cosa particolarmente spiacevole a Carlo. Poi si volse al muro, e si addormentò col confortante pensiero che Carlo, in vero, era un baluardo.


Le nozze di Nancy ebbero luogo a Roma. Tutti i poeti d’Italia mandarono dei poemi, e Nino le portò una collana di perle. Dal Quirinale venne un medaglione che racchiudeva la miniatura di un giovinetto. Nancy, pallida e riverente, osò sfiorare colle labbra quel grave viso d’adolescente, sulla cui fronte era già l’ombra d’una corona.

Dopo la colazione nuziale tutti gli invitati si accommiatarono, e si avviarono alle loro carrozze, passando gaiamente sul tappeto scarlatto steso sulla scalinata, dal portone fino all’orlo del marciapiede.

Poi Nancy, nell’abito da viaggio grigio-sorcio, abbracciò Valeria e pianse, dicendole addio. E abbracciò Nino e pianse, dicendogli addio.

Poi scese, sempre piangendo, le scale, e a braccio dello sposo traversò il tappeto rosso e salì in carrozza. Clarissa e Carlo, lo zio Giacomo, la zia Carlotta e Adele seguirono in altre vetture alla stazione, dove una grande folla aspettava per salutare alla partenza gli sposi.