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alla sua casa, una specie di «Roof-garden» all’americana.

«Vedrai, caro Scotti», mi diceva nel suo biglietto d’invito, «vedrai gli splendori di questa mia nuovissima idea luminosa!».

E aggiungeva un poscritto:

«Porta teco amici... e amiche!».

Alla sera fissata Rosàlia dichiarò che sarebbe venuta con me. Questo mi stupì, poichè di solito non voleva uscire; nè le piaceva vedermi in compagnia d’altri. Ella, come la maggior parte delle donne innamorate, aveva creato intorno a me il completo isolamento.

Non vi era che Pierino Alessi, un innocuo giovane, mezzo esaltato, mezzo deficiente, che fosse ammesso talvolta ai nostri incontri. Anche a questa festa egli si accompagnò a noi.

Rosàlia in quella sera fu bella come io non l’avevo veduta mai. Non so a quali arti avesse ricorso, o se era soltanto la passione e l’allegrezza, — e un meraviglioso vestito tutto a squame d’argento — che la trasfiguravano così. Certo è che la nostra entrata nelle sale di Weill fu trionfale.

Già ferveva il frastuono e la giocondità; un’orchestrina pseudo-boema strepitava inascoltata tra le risa e i clamori.

Weill, lungo, magro, un po’ spiritato, ci diede con esuberanza il benvenuto.