Pagina:Zamboni - Pandemonio - Il bacio nella luna, Firenze, Landi, 1911.pdf/429

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Parecchi reggimenti d’infanteria da Palermo, arrivati non poterono far nulla, perchè non avevano strumenti, nè le coperte dei depositi, nè le medicine; nulla affatto.

In nessun modo fu provveduto. Altra volta la Calabria venne soccorsa dalla nazione. Avvennero sperperi di somme distribuite secondo il colore politico e la votazione; e rapine di fornitori.

Il governo doveva saperle queste cose ed esservi preparato, come dovevano trovarsi allestite le ambulanze di pronto soccorso.

Al 31 ancora non fasce nè altro occorrente; non cloroformio, onde senza narcosi si amputavano i feriti gravi, in quell’aria appestata di cadaveri, come si squartano animali dal beccajo. E sulle navi era tanto e tutto bellamente riposto. L’equipaggio e gli ufficiali fremevano. E uno disse: «Mi vergogno di essere Italiano». La burocrazia intralciava tutto.

Intanto i marinaj stranieri appena giunti e sbarcati, infaticabilmente, scavando, aiutando, trasportando i feriti alle lor navi facevano prodigi; e i nostri stavano ad aspettare gli ordini per andare a soccorrere gli sventurati che invano pregavano aiuto.

Si dovette al re personalmente e alla regina, che vennero il 30, se fu presa la decisione di trasportare i profughi e i feriti sulle nostre navi da guerra.

Dopo quattro giorni alcuni superstiti non avevano ancora ricevuto un solo pane. Nella stiva del Tebe vi erano dal giorno 29 parecchi quintali di pane.

Ma il comando in capo non aveva ancora l’ordine di sbarco e donne e bambini morivano di fame.