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Se all’aspro duol di sì crudel martire,
     Gran Dio, tu stesso muori, e che mai fia
     Il soffrirlo, esser madre, e non morire?


XV


Quando la Fè, Signor di sfera, in fera
     Sovra de’ Cieli il mio pensier conduce,
     Te scopro in mezzo a grande alata schiera
     Entro a tua somma incomprensibil luce.
5E se quindi alla mia notte primiera
     Io torno, e solo a me Ragione è duce,
     Pieno il Tutto di te veggio, e la vera
     Tua bella immago, che nell’uom riluce:
Veggio il tuo spirto, che vigore infonde
     10A questa immensa mole, e spuntar fuore
     In erbe il veggio, in frutti, in fior, in fronde.
Te sulle penne di piacevol’ ore,
     Spaziar per l’aere, e te del mar sull’onde:
     Ah! ma sol te non veggio entro il mio core.


XVI


In quel gran dì, che a disserrar le porte
     De’ Cieli il Verbo ascese, e al divin Padre
     Torno festoso, vincitor di morte,
     Con mille a lei rapite alme leggiadre;
5Correan cantando giù dall’alta Corte
     Ai luminosi Spiriti immense squadre:
     Vieni, delle virtù Re sommo, forte,
     Vieni; ma dove è senza te la Madre?
Quanta parte di Cielo, al Cielo e quanti
     10Mancan fregi al trionfo! Ah del bel dono
     Fia, che l’ingrato Mondo ancor si vanti?
Verrà tra poco, Ella verrà; ma sono
     Noti a me sol, dicea, suoi pregi; avanti
     Io però vengo a prepararle il Trono.