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E siccome la vena è asciutta al pianto,
10Così il calor mancando al petto interno
Mi torrà il sospirar grato a me tanto.
Non fia però, che in questo vivo inferno
Con questa penna il tuo bel nome santo
Non cerchi, e ’l mio dolor far forse eterno.
II
Veggio, Alessandro, il tuo spirto beato
Il veggio; o figlio, e non m’inganna amore,
Star lieto vagheggiando il suo Fattore
Di raggi eterni cinto e circondato.
5E tanto più del mio sinistro fato
Mi lagno, poichè vuol che ’l mio dolore
Non basti a far volar l’infelici ore
Dell’aspra vita mia più dell’usato:
Che, bench’io grave e vil giunger non speri
10Ove tu scarco e nobil pellegrino
Salisti a’ gradi più sublimi alteri;
Pur, del Ciel fatto ignobil cittadino,
L’alte tue glorie, e i tuoi diletti veri
Almen veder potrei più da vicino.
III
Dell’età tua spuntava appena il fiore,
Figlio, e con gran stupor già producea
Frutti maturi, e più ne promettea
L’incredibil virtute e ’l tuo valore;
5Quando Atropo crudel mossa da errore,
Perchè senno senile in te scorgea,
Credendo pieno il fuso, ove attorcea
L’aureo tuo stame, il ruppe in sì poch’ore;
E te della Natura estremo vanto
10Mise sotterra; e me, ch’ir dovea prima,
Lasciò quì in preda al duol eterno, al pianto.
Nè saprei dir se fu più iniqua e ria
Troncando un germe amato e caro tanto,
O non sterpando ancor la vita mia.