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IV


Nè al merto tuo, nè alla pietà paterna,
     Alessandro, convien ch’un dì trapassi
     Ch’io non tenti i miei versi umìli e bassi
     Alzare a far di te memoria eterna.
5Ma il duol, ch’a suo voler regge e governa
     L’intelletto e la mente e i sensi lassi,
     Fa che ciascun di lor l’impresa lassi,
     Per dar soccorso alla ruina interna.
Però ristretti a sospirar col core,
     10Con far del viver mio l’ore più corte,
     Cercan per altra via di farti onore;
Chè alla futura età le genti accorte
     Potran pensar qual fosse il tuo valore,
     Se mi uccise il dolor della tua morte.


V1


Odo sin quì, Signor, le donne Alpine,
     Ch’eran poc’anzi in sì securo stato,
     Pianger de’ lor mariti il duro fato
     Dal gran vostro valor condotti al fine:
5E, come pria temea scempi e rapine,
     Italia, in speme il suo timor cangiato,
     Minacciar al nemico empio ed ingrato
     Ed al suo proprio suol morti e ruine.
Onde Grecia infelice or ride, e spera
     10Romper il giogo, e ristorar suoi danni
     Col favor della vostra Aquila altera;
La qual, s’avendo ancor teneri i vanni
     È tale, or che sarà quando l’intera
     Forza e virtù le daran l’uso e gli anni?


VI2


Lume del Ciel, ch’in dubbio oggi tenete,

  1. Per Carlo V. Imp. quando ebbe rotti i Luterani di Germania, e disfatta la famosa lega di Smalkald l’anno 1547.
  2. Per Donna Gio: d’Aragona Duchessa di Paliano.
Zappi, Tom. I.