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Pria che Silvin la invogli di quei rai,
Che spande l’oro, e sia il mio amor disfatto.
II
Piccola pianta, che si scorge appena,
Nasce dentro di noi l’empio sospetto:
Ma presto cresce, e tal seco ombra mena,
Che tutt’oscura il chiaro almo intelletto.
5Nè per troncar di rami alla serena
Luce del Vero ei può dar più ricetto,
Se Ragion con possente eccelsa lena
Tutto non spezza l’albor maledetto.
E ad una ad una non isvelle, e toglie
10Le maligne radici, ed arde a un tratto
Col lor tronco, coi rami, e con le foglie:
Ed in cenere poi così disfatto
In mar nol getta, acciò più non germoglie.
Tanto ci vuol, perch’egli muoia affatto!
III
Quant’è ch’io sospirava, e che piangea,
Per far latino il mio sermon toscano,
Ed ora l’una, ed ora l’altra mano
Tremante a dura sferza, ahimè!, stendea?
5Quant’è ch’ora vincea, ed or perdea
Co’ miei Compagni al corso, e per lo vano
Aer lieve spingea globo lontano,
E ’l sudor dalla fronte io mi tergea?
Quant’è ch’all’apparir d’Aprile e Maggio
10Prendeva in man le varie di colore
Vaghe farfalle, e lor faceva oltraggio?
Sono otto lustri, e pur mi sembran ore.
Oh come dell’età presto è il viaggio!
Uom nasce appena, che s’invecchia, e muore.
IV
Se quella fiamma che di vena in vena
Mi va serpendo, e in mezzo al cuor si posa,
E lo fa stanza d’alto incendio piena,
Fosse palese altrui, com’è nascosa,