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     Vivo mio fuoco, che pago e contento
     Nell’ardor mi tenesti e nel tormento,
     Ed or anche hai vigor cenere farmi;
5Fresche son le mie piaghe, e veder parmi
     Lucente e bello il dolce lume spento
     E lieto del mio mal scioglier non tento
     Quel laccio, con cui volle Amor legarmi.
Pianta felice dall’uman terreno
     10Morte ti svelse, ed or traslata in loco!
     Più culto innalzi le superbe cime
Io, che cantai sotto l’Ombroso ameno
     De’ tuoi bei rami, augel palustre e roco
     Or vo piangendo in valli oscure ed ime.


III1


Piero, che i lacci e le rovine e i danni
     Sì ben ne mostri, chè uom ne gela, e pave
     Di questa vita perigliosa e grave
     Per dolci voglie, anzi per duri affanni;
5Prega il buon Padre, che i miei sozzi vanni
     Dapprima io purghi col mio pianto e lave;
     Poscia sua dolce e sant’aura soave
     Gl’innalzi, e meni fuor di tant’inganni.
Me regga ei pur, chè invan m’ergo, e confido
     10All’egre forze, ch’al grand’uopo estremo
     Mi lascian solo, ond’io me ’n cado, e giaccio.
E giaccio, lasso! nell’infame nido,
     Onde movei pur dianzi, e vedo, e temo
     L’esca mal nata, e ’l forte ascoso laccio.


IV2


Amnis, amor Driadum, qui rustica Numina Faunos
     Ad vitreas leni murmure cogis aquas;
Judice quo, sine lege vagus prope littora vidi
     Phyllida purpureo nectere fiore comas:

  1. Al P. Pier Filippo Mazzarosa celebre Predicatore.
  2. Trad. del susseg. Sonetto del Cav. Marino, e secondo altri d’Antonio Ongaro.