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VII1
Ecco, amici Pastori, ecco ove giunto
Questo infelice mio povero agnello,
In mezzo a un prato erboso, appo un ruscello
Egro sen giace dal digiun consunto.
5L’altr’ier guatollo Argone, e da quel punto,
Quasi pasciuto di mortal napello,
(Come, ridir non so) di pingue e bello,
Tosto divenne sì deforme e smunto.
Or dal suo mal, con provvido consiglio,
10Apprendete a fuggir con piè non tardo
Da quel, che a voi sovrasta, egual periglio.
Ah fuggite d’Amor la face e ’l dardo:
Quanto in lui fa il velen d’invido ciglio
Far puote in voi d’occhio amoroso un guardo.
VIII
Dietro l’ali d’Amor, che lo desvìa,
Sen vola il mio pensier sù d’improvviso,
Ch’io non sento il partir, finchè a quel viso,
Ove il volo ei drizzò, giunto non sia.
5Chiamolo allor; ma della Donna mia
L’alta bellezza egli è mirar sì fiso,
Involandone un guardo, un detto, un riso,
Che non m’ascolta, ed il ritorno obblia.
Alfin lo sgrido: ei senza far difesa
10Mi guarda, e un riso lusinghier discioglie,
E ridendo i suoi furti a me palesa.
Tal piacer la mia mente indi raccoglie,
Che dal desìo di nuove prode accesa,
Tutta in mille pensier l’Alma si scioglie.
IX2
Archimede non già, Fidia, nè Apelle
- ↑ Nell’occasione d’un Discorso sopra il Fascino, fatto del Signor Carlo Doni.
- ↑ La Pittura, e la Scultura, e l’Architettura debbono conformarsi alle regole della moral Flosofia, e della vera Religione.